L’integrazione passa attraverso il dialetto? Lo sostiene la Lega a a Belluno, dove la storia, la cultura e la lingua locale entrano nei programmi di formazione propedeutica all’integrazione sociale e lavorativa degli immigrati regolari. In seguito all’accordo di programma con la Regione Veneto approvato dalla giunta provinciale, accanto ai corsi di lingua, cultura e storia italiana e di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, verranno attivati corsi specifici per la conoscenza del territorio e del dialetto bellunese. «Il progetto, che non è discriminante, nasce da istanze raccolte sul territorio, dagli imprenditori e dai lavoratori stessi» – sostiene l’assessore provinciale alle politiche del lavoro e alla formazione Stefano De Gan (Lega Nord). Il progetto interesserà particolari settori, come quello dell’edilizia e dell’assistenza sanitaria pubblica e privata, “che vedono la coesistenza sui posti di lavoro di italiani e stranieri e grosse difficoltà legate alla lingua”. A costituire una barriera linguistica sarebbero soprattutto nomi di attrezzi e strumenti di lavoro, ma anche richieste e indicazioni in dialetto che gli immigrati non sono in grado di comprendere.
I corsi, rivolti a persone già inserite nel mondo del lavoro, verranno organizzati e tenuti dagli enti di formazione di Assindustria e dell’Unione artigiani nell’ambito di un progetto dal costo complessivo 40mila Euro, 32mila da fondi regionali e 9mila dalla Provincia. Soldi che potevano essere impiegati diversamente, secondo alcuni immigrati che vivono nel bellunese, i quali hanno opinioni diverse e a volte contrastanti, legate all’esperienza personale, all’età, alla professione. «Gli immigrati si spostano a seconda dell’andamento dell’economia. Oggi lavorano qui, ma non è detto che domani rimangano a Belluno» – commenta Sherif Eissa, di origini egiziane, che oggi è cittadino italiano. Sottolineando l’importanza di coinvolgere le associazioni di immigrati presenti sul territorio negli interventi volti a favorire l’integrazione, esprime anche la sua opinione di cittadino italiano: «le risorse vanno impiegate nel modo giusto, con iniziative efficaci, che aiutino concretamente l’integrazione».
Prima l’italiano «Prima di tutto, dobbiamo conoscere l’italiano, imparare a leggerlo e a scriverlo». Non ha dubbi Ibtisam, 22 anni, operaia marocchina addetta al controllo qualità degli occhiali. È consapevole dell’importanza della lingua per poter vivere e integrarsi all’interno della società non solo bellunese e veneta, ma italiana. Come altri stranieri, nel dialetto vede invece un’ulteriore difficoltà. L’opportunità di avere uno strumento in più è invece accolta con entusiasmo da Maria, badante ucraina, che vive a Belluno da quattro anni. Considera il dialetto una risorsa per il suo lavoro a stretto contatto con gli anziani, ma anche una possibilità per «imparare una nuova lingua», oltre all’ucraino, il russo, l’inglese e l’italiano, che parla correttamente. A mettere in dubbio l’utilità dello studio del dialetto è Amin, 24 anni, di origine marocchina. Vive in Italia da 15 anni e mastica un po’ di dialetto, «imparato al lavoro». «Penso che per uno straniero sia già difficile imparare la lingua italiana» – commenta, proponendo di impiegare i fondi per iniziative e spazi in cui i giovani italiani e stranieri possano incontrarsi. Non rifiuta l’idea di studiare il dialetto Abderraim El Barqi, presidente dell’Associazione Amicizia italo-marocchina, dicendosi disponibile e aperto a tutte le iniziative a favore dell’integrazione. «Non ho niente in contrario» – aggiunge, auspicando che i figli di immigrati di cultura araba possano avere degli spazi in cui imparare l’arabo e trovare sostegno nello studio della lingua italiana, e chiedendosi se vengono organizzati corsi dello stesso tipo per gli italiani che non parlano il dialetto.
L’Unità 02.04.10