I leghisti promettono di non utilizzare la pillola del giorno dopo negli ospedali e Gasparri attacca l’Aifa. Il PD dalla parte delle donne. “Cercherò di tenere in magazzino le pillole abortive arrivate in Piemonte”, la brutta promessa è del neopresidente leghista della regione Piemonte, Roberto Cota in una intervista ai microfoni di “Mattino Cinque” durante la rubrica “La telefonata” di Maurizio Belpietro. Sulla Ru486 Cota ha idee oscurantiste, ben diverse da quelle dell’ex presidente Mercedes Bresso: “Farò quanto in mio potere per fermarla, sono per la difesa della vita io – ha affermato Cota – per prima cosa chiedo ai direttori generali di bloccare l’impiego della Ru486 attendendo la mia entrata in carica, poi chiederò che in tutte le strutture sanitarie piemontesi siano ospitate le associazioni Pro Vita”. Anche il neogovernatore veneto Luca Zaia sceglie la linea dura: “Studieremo il modo per non farla arrivare negli ospedali veneti”. Secca la replica del segretario del PD Pier Luigi Bersani: “Piemonte e Veneto restano in Italia e in Europa. Faremo comprendere a questi nuovi presidenti che non gli è stata messa in testa una corona da imperatore, dell’autorizzazione e dell’uso di un farmaco non decidono i presidenti di Regione, tanto meno decidono della libertà terapeutica né possono sostituirsi al rapporto medico paziente”. E il segretario denuncia come a pochi giorni dalle elezioni “sono già in discussione principi elementari e basilari e dobbiamo ascoltare affermazioni e intenzioni che possono aprire un solco profondissimo nell’opinione pubblica, cosa di cui non abbiamo certo bisogno”.
Secondo quanto stabilito dal Consiglio superiore di Sanità, da domani le farmacie ospedaliere italiane potranno avviare la procedura per richiedere la pillola; nonostante ciò il percorso della Ru486 in Piemonte e in Veneto potrebbe incontrare lo stop della Regione, nel caso in cui non venisse inserita nel prontuario regionale. La questione però è controversa, visto che l’Agenzia Italiana del Farmaco l’ha già messa nel prontuario nazionale, ma come per qualsiasi farmaco, le Regioni hanno un largo margine di autonomia per stabilire tempi e modalità. Non c’è dubbio però che se il farmaco è approvato dall’Aifa prima o poi si dovrà erogare.
Sarebbe interessante piuttosto capire perché Roberto Cota abbia lanciato queste forti dichiarazioni, riguardo la sua idea di utilizzo della pillola RU486, solo all’indomani delle elezioni. Se le avesse apertamente espresse da subito, probabilmente avrebbe perso la manciata di voti che lo ha distanziato dalla candidata del centrosinistra Mercedes Bresso, grazie ai quali è stato eletto governatore del Piemonte. Non vorremmo che queste regionali avessero segnato la vittoria del partito della morte dei diritti, delle regole e della libertà di scelta, insomma che la destra si prepari a tornare al Medioevo. Non paghi, dal Pdl parte l’attacco al direttore dell’Aifa, l’Agenzia per il farmaco che ha dato il via libera al farmaco. “Appare sempre più evidente la inadeguatezza del direttore Guido Rasi – dice Maurizio Gasparri -, che continua ad intervenire in maniera strana sulla pillola e sembra sempre più un piazzista di farmaci. Porrò al governo il problema della gestione dell’Aifa, che a mio avviso non garantisce adeguati livelli di competenza, trasparenza, imparzialità. Con la salute e con la vita non si scherza”. “Il neoeletto presidente Cota, il sottosegretario Roccella e il senatore Gasparri abbiano il coraggio di dire la verità, e cioè che dietro l’accanimento contro la Ru486 si nasconde l’attacco alla legge 194. Altro che vittoria dell’amore, questo è odio, ma per le donne”. E’ quanto dichiara Roberta Agostini, responsabile Salute e Conferenza delle Donne della segreteria nazionale del Pd. “La verità è che la battaglia di maggioranza e governo contro la Ru486, un farmaco utilizzato da anni nel resto d’Europa, è tutta ideologica e pregiudiziale ed è compiuta sulla pelle delle donne”, conclude Agostini.
Per il chirurgo e senatore Ignazio Marino è un abuso bello e buono e lo fa notare in modo sferzante: “Forse Cota voleva fare il ginecologo e non il politico, per questo si intromette in quella che dovrebbe essere una relazione intima e professionale tra il medico e la sua paziente Minacciare che un farmaco, che ha ricevuto regolarmente l’autorizzazione ad essere messo in commercio dall’Aifa, resterà nei magazzini è un abuso di potere che fa già capire quale sarà il metodo leghista della nuova amministrazione regionale”. Anna Finocchiaro, capogruppo a palazzo Madama: “Le dichiarazioni di oggi del presidente del gruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri sulla pillola abortiva Ru486 spiacciono davvero, perché appaiono minacce e come tali sono fuori luogo. Applicare e far rispettare una legge dello Stato, la 194 sull’aborto, non dovrebbe essere in discussione per un parlamentare della Repubblica. L’utilizzo della pillola Ru 486 – sottolinea Anna Finocchiaro – è stato autorizzato nell’ambito dell’applicazione della legge 194 dopo un lungo iter di sperimentazione e di verifica, che ha visto impegnata anche la Commissione Sanità del Senato in un’indagine conoscitiva. L’uso della pillola è stato autorizzato negli ospedali, come aveva consigliato l’Aifa, fino alla settima settimana di gravidanza, quando invece in altri paesi europei è concesso fino alla nona, quindi con un supplemento di precauzione. La legge sull’interruzione volontaria di gravidanza prevede da sempre la possibilità di introdurre metodiche più avanzate dell’aborto chirurgico, e certo non è l’ingestione di una pillola che rende per le donne meno dolorosa una scelta che non è mai facile. Dunque, Gasparri e il neogovernatore Cota farebbero bene ad evitare minacce e promesse indebite e a rispettare una legge della Repubblica e, con essa, anche tutte le donne italiane e straniere che spesso sono poste di fronte a una scelta difficile. Se poi questi esponenti della maggioranza volessero davvero occuparsi della famiglia e della maternità sarebbero i benvenuti, dal momento che il governo della Destra non ha fatto niente, in ben due anni, per sostenere concretamente, e non a chiacchiere ideologiche, le scelte
delle donne”.
“Chiederemo ai direttori generali delle Asl di non rispettare l’invito di Cota a bloccare l’impiego della pillola Ru486” attacca Mercedes Bresso, presidente uscente della Regione Piemonte.
A spiegare come si potrebbe rallentare o anche bloccare la commercializzazione della pillola a livello regionale è proprio Eugenia Roccella, Sottosegretario al Ministero della Salute. “Nonostante l’Agenzia Italiana del Farmaco abbia autorizzato l’immissione in commercio a livello nazionale della pillola, tecnicamente i presidenti delle regioni potrebbero rallentare o anche impedire che il farmaco arrivi negli ospedali non facendolo introdurre nel prontuario regionale”. In un’intervista a RaiNews24, Roccella ha anche ribadito: “L’aborto non è una vittoria e questo farmaco non è un farmaco meraviglioso”.
Contro le affermazioni di Roccella, che contengono anche giudizi etici personali, è intervenuta Livia Turco, capogruppo del Pd nella commissione Affari sociali di Montecitorio. “Il sottosegretario dovrebbe occuparsi di prevenzione dell’aborto, di politiche per l’infanzia, di potenziamento dei consultori e di lotta alla povertà”, ha commentato la parlamentare. “E invece passa il suo tempo ad accanirsi contro la Ru486. Questo è pazzesco – ha aggiunto – se turba così tanto la sua coscienza l’introduzione in Italia della pillola, farebbe bene a dimettersi dal ruolo che le è stato affidato”.
Conosciamo infatti il dramma di tante donne e di tante coppie che non possono avere i figli che desiderano per via della condizione economica e sociale, per la mancanza di reddito, per il lavoro che manca o che è precario. Questa è la vera emergenza etica del nostro Paese. Consentire alle donne e alle coppie di avere i figli che desiderano.
Quanto all’aborto, afferma Livia Turco: “Vogliamo ricordare che sono state sempre le donne a volerlo combattere attraverso la prevenzione, perché sono le donne che sanno che l’aborto è sempre un dramma e uno scacco”; le donne italiane sono il soggetto morale più rilevante nel prevenirlo e combatterlo. “Gli esponenti della destra, con queste scelte, danno prova di essere rozzamente muscolari, violenti ma soprattutto, ignoranti. Non possono bloccare l’uso di un farmaco che è stato autorizzato, dopo un’istruttoria di 4 anni, dall’Enea a livello europeo, dall’Aifa a livello nazionale e inserito nel nostro prontuario farmaceutico. Non si potrà mai impedire ad un medico di utilizzare la pillola, né a una donna di chiederla. Si mettano dunque l’anima in pace e si studino la legge e il funzionamento del Servizio sanitario nazionale perché è evidente che non lo conoscono”, conclude la senatrice.
Non a caso da quando è entrata in vigore la 194 l’aborto si è ridotto di oltre il 40%. La strada da seguire è quella dunque del sostegno alla maternità. Cosa che purtroppo il governo nazionale ha abbandonato e che ha invece visto protagonisti i governi regionali di centrosinistra come l’Emilia e la Toscana. La pillola Ru486, non può che essere prevista nell’ambito della 194 e nessuna donna la potrà utilizzare come una banalizzazione dell’aborto, per il semplice fatto che nessuna donna vive l’aborto come un fatto banale. Questi temi attengono a una battaglia culturale, civile e morale e a un lavoro quotidiano e non certo alle competizioni politiche.
L’attacco di Cota alla Ru486 è stato condannato anche dal neo presidente della Toscana, Enrico Rossi. “Le sue dichiarazioni mi sembrano stupidaggini dettate forse dalla sua inesperienza in materia sanitaria o dalla volontà di catturare e strumentalizzare il consenso dell’opinione pubblica meno consapevole”. La Ru486 è stata sperimentata anche in Toscana, all’ospedale di Pontedera (Pisa). “In Italia – ha detto Rossi – c’è una legge, la 194, che disciplina il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza. Il farmaco di cui si parla ha ottenuto l’autorizzazione alla distribuzione sul territorio nazionale. Infine, nel nostro Paese è garantita la libertà terapeutica, un ambito che riguarda solo il medico, il paziente e il loro rapporto. Tutto il resto sono chiacchiere inutili”.
La senatrice del Pd Magda Negri, eletta proprio in Piemonte, vede il “Primo sconcertante regalo di Cota alle donne piemontesi: per noi solo aborto chirurgico. Cota vuole sequestrare tutte le Ru486, in un tentativo di federalismo etnico – sanitario”.
Cota e Gasparri, con queste rabbiose dichiarazioni, vogliono impedire alle donne di scegliere la modalità con cui abortire, ma un aborto, pillola o no è sempre una scelta personale, dolorosa e difficile, Gasparri non faccia dell’ideologia sulla Ru486”. Lo dichiara la capogruppo del Pd in Commissione sanità a Palazzo Madama, Fiorenza Bassoli. Le Regioni stanno organizzando un sistema di controllo sulla base di linee definite sul piano medico e nel rispetto della legge 194 per garantire il massimo della sicurezza per la salute delle donne. “Già oggi – chiarisce infatti la senatrice – è prevista una durata della degenza che consente la verifica della mancanza di reazioni avverse al farmaco e l’assicurazione del completamento dell’interruzione di gravidanza”.
Ciò che risulta davvero offensivo nella crociata di governo e maggioranza contro la Ru486 è la presunzione che in questo modo si banalizzerebbe l’aborto. Per fortuna, le donne italiane sono più intelligenti di quello che pensa questa maggioranza e sanno che un aborto non è mai banale.
È stato immediatamente redatto un documento da parte della segreteria Regionale del Pd Piemonte, che riportiamo.
RU486 IL PD DEL PIEMONTE: “COTA RISPETTI LA LEGGE E LE DONNE”.
Se il “federalismo sanitario” che Roberto Cota ha in mente consiste nel decidere arbitrariamente quali farmaci somministrare ai piemontesi e quali no, allora ci sono buoni motivi per essere seriamente preoccupati. E’ grave che il neo governatore dichiari che la Ru486 resterà nei “magazzini”, ed è altrettanto grave che la nuova amministrazione regionale pensi di impedire o di ostacolare l’utilizzo della pillola negli ospedali piemontesi. La Ru486 è stata autorizzata dall’Agenzia del farmaco ed è quindi entrata a far parte del prontuario farmaceutico nazionale. Le Regioni, pur nella loro autonomia, devono rispettare la normativa in materia di interruzione della gravidanza e le indicazioni dell’Aifa. Dunque, nessuno può impedire alle donne piemontesi di ricorrere alla Ru486. Dal Presidente Cota ci aspettiamo semplicemente il rispetto della legge e delle donne.
Lucia Centillo, Maria Ferlisi, Sara Paladini, Anna Rossomando della Segreteria regionale del PD del Piemonte. Hanno inoltre aderito al documento: Mercedes Bresso, Giuliana Manica, Angela Migliasso, Angela Motta, Gianna Pentenero Sen. Franca Biondelli, Sen. Piero Marcenaro, Sen. Magda Negri, Milù Allegra, Monica Auddisio, Cristina Bulgarelli, Malvina Brandajs, Carola Casagrande, Laura Clarici, Marika Del Boccio, Nadia Levi Jedid, Elena Giuliano, Angela Massaglia, Damiana Massara, Monica Mazza, Maria Rosaria Mollo, Valeria Saracco, Paola Turchelli, Viciane Wetchetchieu, Magda Zanoni Gioacchino Cuntrò, Raffaele Bianco, Luca Cassiani, Giovanni De Marco, Emanuele Durante, Dario Omenetto, Antonio Macrì, Matteo Mereu, Pier Paolo Soncin, Mario Sechi.
www.partitodemocratico.it
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«Lo stop delle Regioni contrario alla Carta»
«Atto incostituzionale». Esplicito il giurista Amedeo Santosuosso, docente di Diritto e scienze della vita all’università di Pavia, di fronte all’annuncio dei neo-governatori leghisti di Piemonte e Veneto di bloccare l’uso della pillola abortiva (la Ru486) nelle Regioni da loro amministrate. Non sarebbe legittimo? «No. Il potere politico ha dei limiti rispetto all’atto medico deciso con il cittadino che ha bisogno di una cura o di un intervento medico. Lo ha stabilito la Consulta (sentenza 151 del 2009) definendo incostituzionale la legge 40 (sulla fecondazione artificiale) là dove imponeva ai medici di seguire determinate procedure (per esempio l’impianto di tre soli embrioni) indipendentemente dalla concreta situazione della donna-paziente. Venivano inoltre violate l’autonomia del medico fondata sulla libertà della ricerca scientifica e il diritto della paziente ad avere i migliori trattamenti nell’interesse della sua salute. Lo stesso vale per la Ru486, approvata dalle autorità competenti europee e italiane. Qualsiasi decisione amministrativa ispirata a ideologie si pone in radicale contrasto con la Costituzione, che vale per tutte le Regioni». Ma la Chiesa plaude? «I giudici amministrativi (Tar) della Lombardia definirono illegittimo il rifiuto della Regione di indicare un ospedale dove attuare la sentenza per Eluana Englaro: una discriminazione ispirata solamente da convinzioni religiose. Potremmo accettare una sanità pubblica in cui, al momento del ricovero in ospedale ci venissero richieste attestazioni di fede o di convinzioni politiche? Saremmo alla barbarie».
Il Corriere della Sera 02.04.10
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