«Rifiuteremo gli incarichi». Mercoledì porteranno le loro proposte al Miur. In tanti se ne vanno dall’Italia per cercare una speranza di lavoro. Li chiamano «cervelli in fuga» oppure «cacciati». Ma adesso anche i cervelli di quelli che sono rimasti cominciano a «fumare» e a minacciare di fare sciopero. Stiamo parlando dei precari e dei ricercatori dell’università italiana. I primi protestano perché si ritrovano senza prospettive di lavoro e i secondi perché da anni ormai aspettano i concorsi per diventare associati. Aspettando e sperando, entrambe le categorie contestano il disegno di legge del ministro Gelmini sulla riforma accademica, già approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri del 16 marzo. Nell’attuale università i ricercatori (24.138 per l’Istat nel 2008, costituiscono circa il 40% del corpo docente) si occupano anche della didattica che invece dovrebbe essere di competenza dei professori associati e degli ordinari. A proclamare lo stato di agitazione è l’organo di rappresentanza nazionale, il Cnru (coordinamento nazionale Ricercatori universitari): «Invitiamo tutti i ricercatori universitari a non accettare incarichi per affidamento e supplenza per il prossimo anno accademico» e ad avviare «forme di lotta immediate che comprendano anche la sospensione dell’attività didattica».
LA PROTESTA – In tutta Italia ormai i ricercatori contestano l’esclusione, prevista nel ddl Gelmini, dagli organi di governo degli atenei, come pure dalle commissioni di valutazione. Allo stato attuale il ricercatore per accedere al ruolo di professore associato deve conseguire un’abilitazione nazionale e poi vincere un concorso a valutazione comparativa. Al contrario, il nuovo ricercatore a tempo determinato, dopo aver conseguito l’abilitazione, col ddl Gelmini potrà essere assunto come professore associato per chiamata diretta dagli atenei. «Questa procedura – scrivono i ricercatori di Cagliari – è vista come una discriminazione inconcepibile ed offensiva che tende a emarginare il ricercatore attuale, ridicolizzandone le competenze scientifiche e didattiche che, in molti casi, risultano essere ben superiori a quelle richieste per accedere “ipso facto” al ruolo di professore associato». E poi «le nuove regole previste dal disegno di legge, unite alla drammatica carenza di finanziamenti attualmente insufficienti perfino alla semplice copertura degli stipendi del personale già in ruolo, annullano di fatto qualunque reale prospettiva di carriera per i ricercatori».
GENOVA-NAPOLI-TORINO-BOLOGNA – Sul piede di guerra anche i ricercatori di Genova. Per loro nel ddl non c’è «alcun tipo di riconoscimento per l’attività di didattica frontale che la maggior parte dei ricercatori ha da anni svolto a titolo gratuito», anzi il progetto «vanifica ogni realistica aspettativa di progressione di carriera». E poi amaramente constatano che più che di categoria ad esaurimento (così definita dal ddl) sarebbe corretto parlare di categoria «terminale». Stesso malessere tra i ricercatori della Tuscia o tra quelli della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali della Federico II di Napoli dove già dall’8 marzo 110 ricercatori si astengono dalle lezioni. Documenti di protesta sono stati firmati all’Alma Mater di Bologna e a Torino dove quest’anno 3mila precari, con età media di 35 anni, non avranno rinnovato il loro contratto per via del taglio dei fondi. Ma la protesta monta anche a Firenze, Pisa, Siena, Bari, Urbino e Milano.
I MOTIVI – A questo punto appare decisivo l’incontro, mercoledì prossimo, 24 marzo, tra il direttivo del Coordinamento nazionale ricercatori universitari e il Miur. A Roma i ricercatori mostreranno i risultati di un recente sondaggio cui hanno partecipato in 5.000. L’80% dei ricercatori chiede l’inquadramento alla seconda fascia docente per coloro che hanno fatto didattica certificata dalle facoltà, anche in atenei diversi, per almeno sei anni. Non è la prima volta che i ricercatori minacciano di bloccare i corsi accademici loro affidati ma mai come in questa occasione l’ipotesi di rifiuto delle supplenze accademiche è quasi realtà: «Stavolta – spiega il coordinatore nazionale Cnru, Marco Merafina – c’è più organizzazione. Con il sito internet l’aggregazione tra i ricercatori è molto accresciuta».
OLTRE I RICERCATORI – Il coordinamento ha chiesto anche ai professori delle altre fasce di partecipare alla protesta non accettando ulteriori incarichi di docenza al di fuori di quelli istituzionali: «Se ciò avverrà – sostiene Merafina – lo scopriremo cammin facendo. La questione non è tanto sulla loro disponibilità ma sulla loro mancanza di consapevolezza, di informazione e di organizzazione». Qualora la proposta del Cnru non dovesse trovare accoglimento nemmeno in fase di discussione al Miur presto potrebbe scattare la mobilitazione: «Le forme di lotta più immediate – sottolinea il coordinatore nazionale – come il blocco delle lezioni sono affidate alle iniziative locali: in queste ore moltissimi atenei si sono riuniti o stanno per riunirsi per decidere del prossimo anno accademico (vedi Napoli, Cagliari, Bologna, ecc…, ndr) e per il futuro immediato. Io, personalmente ho già sospeso le mie lezioni».
Il Corriere della Sera 22.03.10
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