attualità, università | ricerca

"Solo spot anche sul cancro, intanto la ricerca è in miseria", di Pietro Greco

Nei prossimi tre anni col mio governo vogliamo vincere anche il cancro, che colpisce ogni anno 250.000 italiani e riguarda quasi due milioni di nostri concittadini». La dichiarazione lanciata da Berlusconi dal palco di piazza San Giovanni lascia francamente perplessi. Ha il sapore amaro della boutade che non si arresta neppure di fronte al dolore di milioni di persone. I motivi che rendono del tutto fuori dalla realtà – tragicamente ridicola – l’impegnativa affermazione sono sia di carattere medico sia di carattere organizzativo. I motivi medici è che, ormai lo sappiamo, il cancro non è un mostro unico e immenso, ma un esercito di mostri di diverse forme e dimensioni. Non esiste una singola pallottola d’argento in grado di ucciderli tutti. Esistono diverse pratiche mediche che già consentono di guarire alcuni tumori e di combatterne altri, allungando di molti anni la vita di chi ne è affetto. Purtroppo esistono altri tipi di tumori che risultano ancora indomabili. È molto probabile che per ciascuno occorrerà trovare una soluzione specifica e che difficilmente si troverà una soluzione unica e risolutiva. I motivi di carattere organizzativo sono ancora più netti. E sono almeno due. Il primo è che non esistono duecento comunità scientifiche nazionali in competizione per vincere la guerra contro il cancro. Esiste una comunità mondiale e a cui i ricercatori italiani possono fornire un contributo. La guerra la si vince o la si perde tutti insieme. Ma anche se esistessero queste divisioni nazionali della conoscenza, la conosce Berlusconi la realtà scientifica italiana? La spesa per la ricerca sanitaria in Italia nell’anno 2006 (ultimo con dati disponibili) ammontava a meno di 2 miliardi di euro. Pari a poco più di un decimo della spesa complessiva in ricerca scientifica (il 13,6%, per la precisione). Ciò significa che l’Italia destina alla ricerca sanitaria appena lo 0,1%del Pil lordo: tre volte meno della Germania o della Gran Bretagna. In assoluto, 200 (sì 200 volte meno) degli Usa. L’Italia investe in ricerca scientifica e tecnologica circa 19 miliardi di dollari l’anno: l’1,7% del totale mondiale. Chi può pensare che il nostro piccolo paese possa riuscire in tre anni lì dove il resto del mondo, con una quantità di risorse economiche 60 volte superiori e un numero di ricercatori 120 volte superiori, non riesce da decenni? Ma lo sa Berlusconi che nei soli Stati Uniti gli investimenti nella sola ricerca biomedica sono almeno dieci volte superiori a tutti gli investimenti in ricerca dell’Italia? Che i soli fondi pubblici per la ricerca biomedica (40 miliardi di dollari) sono oltre venti volte superiori alla spe-sa complessiva, pubblica e privata, italiana? Mettiamo, per pura ipotesi, che possa essere davvero lanciata. Ebbene, il governo dovrebbe muoversi in direzione diametralmente opposta a quella in cui si sta muovendo. Anche Nixon lanciò nel 1971 la «guerra contro il cancro», da vincere nel corso di un decennio. Quella guerra non è stata vinta,come sappiamo, perché il nemico non era uno solo e non era così facile da battere comeci si immaginava. Ma Nixon e gli Stati Uniti si impegnarono in maniera forte e coerente nella battaglia. Fecero della «guerra contro il cancro» una priorità strategica e vararono il National Cancer Act, una legge quadro per realizzare l’obiettivo. Aumentarono gli investimenti pubblici nella ricerca biomedica di base, nella ricerca applicata e nello sviluppo dei prodotti. Favorirono gli investimenti privati. Da allora in poi la ricerca nelle scienze della vita è cresciuta negli Stati Uniti come nessun altra. In Italia non c’è nulla di tutto questo. Non esiste alcuna legge, alcun decreto, alcun programma, alcun documento che elegga «la guerra al cancro » a priorità strategica. Non c’è alcun aumento di risorse a favore della ricerca. Anzi, si sta verificando esattamente il contrario. Il governo taglia pesantemente i fondi alla ricerca e all’università. Non c’è alcun programma di stimolo per la ricerca privata. Le grandi aziende multinazionali del settore non vengono in Italia a investire. Al contrario, se ne vanno: ultima la Glaxo. E, ultimo ma non ultimo, con piglio leghista respingiamo alla frontiera i pochi giovani ricercatori stranieri che chiedono di venire a lavorare in Italia.
L’Unità 22.03.10

1 Commento

I commenti sono chiusi.