Votate, votate, votate!
In questo modo i conduttori di Canzonissima invitavano gli italiani a scegliere il cantante preferito. Allo stesso modo vorrei sollecitare chi legge questa pagina a recarsi alle urne, domenica, per esercitate il proprio diritto/dovere di voto. Io lo farò votando Pd e i suoi candidati, nella speranza che siano eletti, in particolare, quelli territorialmente a me più vicini: Edo Patriarca, Teto Vaccari, Matteo Richetti e Giuditta Pini, oltre a Paola De Micheli, Vanna Iori e Paola Boldrini amiche e colleghe della legislatura che si chiude. Non mi dilungo: le ragioni stanno scritte in questo profilo da quando l’ho aperto. Quindi non da ieri e non dall’inizio di questa legislatura, ma da quando alla breve esperienza di governo Prodi succedette quella di Berlusconi. Storia recente, responsabile di molti dei drammi attuali (a partire dalla incapacità di affrontare in alcun modo la crisi economica iniziata nel 2008: mentre a migliaia perdevano il posto di lavoro, il governo di centrodestra si baloccava a sgravare il lavoro straordinario), ma già coperta da una spessa corte di oblio. Nel corso della legislatura sono stati compiuti passi avanti per riparare ai danni ereditati e per rendere migliore il Paese: ne ho dato conto in questi anni – senza trascurare i problemi – e quindi non ci torno sopra. Mentre c’è una riflessione che vorrei condividere. L’ultimo rapporto SWG ci racconta come sono cambiati gli italiani negli ultimi 20 anni. Cosa c’entra? C’entra, c’entra, soprattutto se si pensa al disagio da molti provato rispetto a una campagna elettorale appiattita sulla polemica quotidiana, concentrata su programmi “à la carte”, ma povera di un “progetto” per l’Italia che verrà (il Pd chiarisce: “Per tutti. Il cuore del nostro impegno per gli italiani sta tutto qua. Nel rendere universale ciò che è stato per troppo tempo solo per qualcuno. Nell’affermare che i diritti, le tutele, le opportunità o sono anche per l’ultimo della fila o, semplicemente, non sono…”). Ma la responsabilità non è solo dei partiti o dei movimenti che non vogliono definirsi partiti ma che lo sono a tutti gli effetti (inclusa la gerarchizzazione delle scelte) che, in generale, rispecchiano esattamente il “sentiment” diffuso nel “Paese che, entrato nel nuovo secolo sull’onda della modernizzazione, oggi si avverte affaticato, rabbioso, rallentato, ma anche desideroso di cambiamento, alla ricerca di un’ipotesi di futuro… Alle aperture, agli avviamenti valoriali su alcuni temi (ambiente, diritti civili, scienza, secolarizzazione), hanno fatto da contraltare significative inversioni di tendenza su Europa, globalizzazione, ma anche su modernizzazione, controllo sul proprio futuro, fiducia nel sistema di rappresentanza. Queste inversioni sono state accompagnate da chiusure, da indisponibilità fobiche (su immigrazione, Islam, sicurezza). Nei lunghi 4 lustri trascorsi sono rimaste scolpite anche alcune significative persistenze, apparentemente fisse nel loro incedere, con ritorni di atavici vizi italici e l’estendersi dei disincanti. La perenne corsa nostalgica, fondata sulla sensazione che il meglio è alle nostre spalle; la tentazione di sottrarsi alle regole; l’eterna latitanza del merito, sono alcune delle tenaci concrezioni che frenano il Paese… Gli italiani del primo ventennio del XXI secolo sono persone il cui humus politico e valoriale è multidimensionale; in cui la ricerca di nuovi equilibri è in perenne conflitto con la voglia di rotture… L’Italia è nel bel mezzo di un interregno, tra ieri e domani, tra non più e non ancora”. Ecco il senso della partita che si gioca il 4 marzo: nè più nè meno, la scelta tra ieri e domani. Io scelgo il domani. Spero lo facciano in molti. Se non per noi, per chi votare non può e davanti ai propri occhi ha il futuro.
PS: il lungo virgolettato è tratto dal rapporto SWG “COME SONO CAMBIATI GLI ITALIANI NEGLI ULTIMI 20 ANNI”PoliticAPP_speciale_12gen2018