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In attesa di una norma nazionale, anche Carpi ha il registro delle Dat


Anche Carpi, la mia città, ha il Registro delle Dat, dichiarazioni anticipate di trattamento. La notizia era già stata annunciata, a luglio, nel corso dell’incontro pubblico che abbiamo organizzato alla locale Festa de l’Unità dedicato ai temi del fine vita. Fu una iniziativa molto partecipata, a testimonianza, se mai ce ne fosse ancora bisogna, che si tratta di un tema “sentito”, sebbene riguardi – o forse proprio per questo – la nostra sfera più personale e privata. Sono, quindi, soddisfatta che anche a Carpi, come già in altri Comuni, in attesa di una norma nazionale, sia possibile, per chi lo desidera, depositare le proprie volontà circa i trattamenti sanitari che si intendono accettare nel momento in cui non si possa esprimere in prima persona il proprio convincimento.  In Senato, alla ripresa dei lavori dopo la pausa agostana, dovrà avviarsi la discussione sul progetto di legge nazionale sul fine vita. Alla Camera ne abbiamo discusso a lungo, approfondendo aspetti che potevano risultare controversi, ascoltando pareri e sensibilità diversi, ma cercando di avere come orientamento costante la salvaguardia di alcuni principi stabiliti dalla nostra Costituzione. Che sono essenzialmente due: la tutela della salute dell’individuo e la libertà di autodeterminazione sulle cure che riguardano l’individuo stesso. In questo modo, a ogni persona verrà garantito il diritto reale di assumere le scelte che considera più adeguate sulla propria salute e sul proprio destino. Ho avuto modo di confrontarmi e ponderare a lungo sulle questioni etiche che una tale norma solleva. A mio parere, si tratta di un provvedimento basilare per la tutela della dignità della persona, fino all’ultimo minuto della sua vita. Ho ascoltato attentamente, però, anche le ragioni di chi si dichiara pervicacemente contrario, di chi nega che l’individuo possa liberamente disporre di sé. A questo proposito, sebbene non voglia fare paragoni incongrui, mi ha lasciato parecchio perplessa la posizione di alcuni colleghi che assumono la libertà di autodeterminazione “a corrente alternata”. Hanno combattuto con veemenza e parole pesanti il provvedimento sul fine vita, soprattutto nel punto dove si lascia libertà di rifiutare trattamenti sanitari come l’alimentazione e l’idratazione artificiali, salvo poi adottare, quando si parlava di vaccinazioni, un atteggiamento opposto, in difesa totale della libertà della persona. Eppure le due scelte, quella sui trattamenti nel periodo finale della propria vita e quella delle vaccinazioni, hanno ricadute sociali molto diverse. Sospendendo trattamenti sanitari che ritengo inutilmente accanenti, decido per me. Non vaccinandomi, scelgo di non aderire alla protezione di gruppo che una vaccinazione di massa assicura anche a chi non può proteggersi in questo modo. Fino dove arriva la mia libertà quando si vive in una comunità? Fino a dove non procuro un danno ad altri. Solo così i principi di libertà e responsabilità possono convivere, secondo il nostro patto sociale. Credo siano questioni che meritano tutta la nostra attenzione.