Per la scuola italiana arriva una importante certificazione internazionale: assolve pienamente all’art. 3 della Costituzione, rispetto alla rimozione degli ostacoli “di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. L’Ocse, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, a seguito di una valutazione delle competenze di lettura e di matematica dei quindicenni, conferma infatti che la scuola italiana è una istituzione inclusiva, in grado di colmare i divari sociali tra gli alunni (https://www.compareyourcountry.org/pisa/), capace cioè di insegnare ed educare tutti, indipendentemente dalla famiglia di provenienza dell’alunno e dall’agiatezza economica o dal livello di scolarizzazione dei genitori. Per di più, dal 2006, sono in aumento i cosiddetti “studenti resilienti”, cioè coloro i quali hanno buone performance scolastiche, nonostante provengano da un background svantaggiato. Un grandissimo riconoscimento il cui effetto, però, si disperde progressivamente dopo l’uscita dal mondo della scuola. La stessa valutazione ripetuta a 25/27 anni (http://oecdeducationtoday.blogspot.it/2017/03/how-inequalities-in-acquiring-skills.html), dimostra come tornino a pesare – e a scavare solchi – elementi quali il titolo di studio raggiunto e le possibilità reali offerte dall’ambiente familiare. Risultati confermati in ambito domestico anche dai dati Istat che ho citato in Aula, a Montecitorio, nel maggio scorso, in occasione della discussione sul diritto allo studio universitario: nel nostro Paese il livello di istruzione dei genitori ha effetto sul reddito futuro dei figli. Chi, da adolescente, ha almeno un genitore con istruzione universitaria o secondaria superiore disporrà nella sua vita di un reddito rispettivamente del 29 e del 26% più elevato di chi ha genitori con un livello di istruzione basso. Ricordo, inoltre, che l’Ocse è la stessa organizzazione che ha ripetutamente denunciato il fatto che l’Italia è il Paese con il minor numero di laureati tra quelli monitorati. E’ per questo insieme di ragioni che, come Partito democratico, come parlamentari e come Governo, abbiamo elaborato e approvato lo “student act” nell’ultima Legge di bilancio, quel pacchetto di misure, innovativo e inedito, a sostegno dell’accesso all’università in particolare dei ragazzi provenienti da famiglie meno abbienti. Si tratta di un provvedimento a cui ho personalmente lavorato e dal quale attendiamo esiti positivi già dal prossimo anno accademico. Per la prima volta in Italia è stata introdotta la no tax area per i giovani che hanno famiglie con un reddito Isee inferiore a 13mila euro, mentre tasse calmierate sono state previste per chi ha un reddito Isee fino a 30mila euro (ma alcuni atenei, come ad esempio Bologna, rilanciano lo spirito del provvedimento, e hanno innalzato la soglia di esenzione ben oltre i 13.000 euro isee). Sono le principali misure di un pacchetto più complesso che grazie ad un investimento di 160 milioni di euro prova, finalmente, a dare attuazione concreta anche al dettato dell’articolo 34 della Costituzione, quello che recita “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. L’inclusività di cui l’Ocse ci certifica capaci attraverso la nostra scuola, in questo modo, può prolungare la sua efficacia nel corso della vita adulta.
Pubblicato il 29 Marzo 2017