Le conquiste, anche quelle più battagliate, non sono per sempre. E’ quanto ho immediatamente pensato leggendo il commento di Silvia Dai Pra’ su l’Unità dal titolo “La libertà delle bambine”. Il suo è solo apparentemente un argomento e un argomentare leggero: le bambine di una scuola, vicino a casa sua, indossano di nuovo il grembiule bianco, senza che nessun genitore abbia obiettato, e con un consenso abbastanza unanime (“Sono così carine in bianco…”). Quelli della mia generazione, quelli che sono andati alla scuola elementare sul finire degli anni ’60, sono stati testimoni di un passaggio, solo apparentemente formale. Le bambine avevano un grembiulino rosa o bianco fino alla seconda elementare, e poi dalla terza, tutti uguali, maschi e femmine, con il grembiule nero, meno sporchevole e più pratico. Perché il bianco per le femmine? Perché si diceva (ed evidentemente lo si pensa ancora) che siano, per natura, più calme, più posate, dedite a giochi non forsennati, per cui il grembiule poteva, ma soprattutto “doveva” come raccomandava la mamma, per adeguarsi a un ruolo, rimanere immacolato. Il movimento femminile ha sempre denunciato e contrastato gli stereotipi di genere, come questo: perché condiziona le bambine a comportamenti che non sono esattamente “naturali”, ma coartati da modelli sociali. Noi, degli anni ’60 del Novecento, abbiamo colto i frutti della riflessione del movimento femminista e siamo potute passare al grembiule nero, che consentiva, nei fatti, di fare tutti i giochi e le attività che una voleva, inclusi quelli che facevano i maschi. Poi sono arrivati gli edonistici anni ’80, l’ideale di bellezza e gioventù incarnato nella “velina” e nel successo facile e immediato. E non sono passati senza conseguenze. Fino a quelli che, oggi, non trovano nulla di anomalo nel grembiule bianco indossato da una bambina (a un bambino no, vero?!) e vedono non uno stereotipo culturale ed educativo, ma solo un candore che fa tanto “carino”.
Pubblicato il 17 Febbraio 2017