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La vicenda umana di Bettamin e il percorso parlamentare del biotestamento

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Davanti alla sfida finale della vita, aveva scoperto che il suo terrore non era di morire, ma di morire soffocato: così, con lucidità, racconta la moglie, ha chiesto di andare incontro alla fine dormendo profondamente, senza staccare le macchine, ma anche senza ulteriore dolore. La vicenda umana del macellaio 70enne di Montebelluna, che da ben 5 anni lottava con la Sla, ci mette di fronte a un tema inevitabile per tutti noi, quello della fine della vita. Tema difficile da affrontare, per ragioni etiche e religiose, soprattutto in una società che fa dell’edonismo e del successo vincente la cifra della felicità e della riuscita dell’individuo. La “scelta” di Bettamin avviene in concomitanza con il rush finale, in Commissione Affari sociali, alla Camera, della discussione sugli emendamenti al provvedimento sulle Dat, cioè le Dichiarazioni anticipate di trattamento – meglio conosciuto nelle nostre terre, anche grazie alle battaglie dell’associazione Libera Uscita, come Biotestamento (per chi fosse interessato a questo link si trova l’iter parlamentare del provvedimento con il testo base e gli emendamenti in discussione http://www.camera.it/leg17/126?tab=4&leg=17&idDocumento=1142&sede=&tipo= ). Quello che si discute, oggi, in Parlamento, è la possibilità di lasciare disposizioni che impediscano, nella fase terminale del nostro percorso terreno, di subire accanimenti terapeutici o inutili manovre, più o meno aggressive. E questo, a maggior ragione, anche quando non si dovesse più essere cosciente a se stesso e, quindi, in grado di difendere i propri convincimenti e la tenuta del proprio corpo. Si punta a far approdare la legge in Aula, lunedì prossimo 20 febbraio. Il tema non lascia insensibili per ovvi motivi, e fa crescere il dibattito se le Dat possano rappresentare l’anticamera dell’eutanasia, anche se magari per omissione di azioni contrarie, o addirittura del suicidio assistito. Non lo credo, affatto.Il sapiente lavoro dei colleghi in Commissione non lascia sola la persona nei momenti della scelta più difficile ma la “affida” alla relazione e alla alleanza medico-paziente. Non c’è solitudine o scelta solitaria nelle Dat, c’è, semmai, l’esercizio della più alta responsabilità. Con questa premessa penso che siamo di fronte ad un’altra grande battaglia di civiltà e di responsabilità che questa, per altro tanto bistrattata maggioranza, sta lottando per portare a compimento. Una battaglia della stessa grandezza e della stessa importanza di quelle sulle unioni civili o sulla legge sul dopo di noi, a sostegno di un “diritto mite” per la dignità della persona.