Barbara Jatta è la nuova curatrice dei Musei Vaticani. Una esperta del settore, con una solidissima competenza acquisita in oltre un ventennio di esperienza specifica. Insomma, un curriculum professionale coerente con il prestigioso ruolo. E allora la notizia dov’è? Nel fatto che per la prima volta nella loro centenaria storia i Musei vaticani saranno diretti da una donna.
Per questo motivo, alla neo direttrice Jatta sono ovviamente piovute addosso richieste di interviste da tutto il mondo. Rispondendo alla rete spagnola Efe, quasi schermendosi da tanta improvvisa notorietà non strettamente connessa alle sue competenze, ha commentato: “Spero di essere stata scelta per i miei 20 anni nei Musei, e non perché sono una donna”. Una affermazione comprensibile, per chi ha l’orgoglio di aver dedicato alla propria professione serietà e dedizione costanti e quindi “pretende” che il raggiungimento di una meta importante sia riconducibile solo al proprio merito e al proprio valore.
Quando viene nominato un uomo a capo di un ente di levatura internazionale, nessuno si domanda se è stato scelto in quanto uomo o in quanto competente nella materia di cui dovrà occuparsi. Non è così per le donne, anche quelle il cui curriculum dovrebbe parlare per loro. La ragione sta nei numeri ancora esigui di donne che raggiungono determinati risultati. Si tratta di carenze professionali? Niente affatto!
La responsabilità di uno scarso protagonismo femminile in certo settori è dovuto in gran parte agli ostacoli culturali e sociali che si frappongono nel cammino delle donne (ce lo confermano tutti gli indicatori, nazionali e internazionali). Per rimuoverli occorre mettere in campo misure di diverso carattere, incluse le cosiddette “quote”, idonee, in certi ambiti, a garantire un equilibrio di presenza femminile e quindi a “forzare” la società ad essere più equa e democratica.
Le quote non sono quindi un fine, ma sono un mezzo per contrastare gli stereotipi e “raddrizzare” quanto ora è storto. Le parole della Jatta ci fanno auspicare in un tempo il più prossimo possibile in cui nessuno, tanto meno le dirette interessate, debba più domandarsi se una donna è stata scelta perché competente o in ossequio di una qualche “quota”. Vorrà dire che avremo raggiunto l’obiettivo di aver vinto gli stereotipi e corretto quanto di errato c’è oggi.