Hillary ha ammesso la sconfitta, Donald Trump è il 45esimo presidente degli Stati Uniti, con buona probabilità l’uomo più potente al mondo. Un risultato non previsto dai sondaggi e dai media, che sta facendo barcollare le borse di mezzo mondo, che apre tanti interrogativi sul futuro di questo grande Paese e, a caduta, del mondo occidentale. Così, a caldo, provo a mettere in fila un po’ di considerazioni che, mi sembra, possano essere racchiuse in un assunto: ha vinto chi ha saputo vendere al meglio un sogno che, per tanti, si è già trasformato in un incubo. Prova ne è l’intasamento dei siti canadesi di informazione sulle modalità di espatrio. Le idee politiche di Donald Trump, che nei dibattiti televisivi erano apparse confuse, al contrario di quelle spiegate con dovizia di particolari da Hillary Clinton, sono, invece, apparse sufficientemente chiare a quella marea di elettori bianchi, appartenenti alla middle class, abitanti nelle zone de-industrializzate, che si sono recati in massa alle urne per votare per l’uomo che prometteva di far tornare grande l’America. Hillary Clinton, al contrario, è stata vista come la rappresentante di quell’establishment di ricchi e potenti che il popolo sente assolutamente distante, indipendentemente dal fatto che la stessa Hillary sia sempre apparsa più preparata, più competente, più attrezzata culturalmente e nella pratica politica e diplomatica nazionale e internazionale. L’esigenza del cambiamento, dell’uomo capace di cambiare direzione, dello sparigliamo le carte e vediamo cosa succede, ha prevalso su tutto. Come era già capitato in Italia, come sta capitando in tante democrazie europee. Successe così con Prodi nel 2006, con Berlusconi nel 2008, sta succedendo così oggi con il Movimento 5 stelle, si veda il voto amministrativo a Roma. Un’idea, quella americana, peraltro solidamente impiantata a destra: non è un caso che la prima a congratularsi con Trump sia stata Marine Le Pen. E d’altronde si vota molto di più con la pancia che con la testa. Sempre più chi vince nelle elezioni è chi è stato capace di trasmettere un sogno di miglioramento, indipendentemente da come poi sarà in grado di declinarlo. Trump non ha mai detto come si muoverà, quello che pare certo è che costruirà muri e taglierà diritti. Ma questo al suo elettore non importa. Il sogno è la rivalsa dell’americano bianco, di classe media, impaurito dalla crisi economica, dal continuo arrivo di immigrati, privato della speranza che il domani sarà comunque migliore. Quella speranza che Trump ha saputo interpretare e la Clinton no. L’America non è ancora pronta per una presidente donna o era la donna sbagliata quella che si è presentata? Rimane questo il grande interrogativo a cui, al momento, nessuno sembra saper dare una risposta. Sanders aveva saputo far sognare il proprio elettorato, così come a suo tempo aveva fatto Obama e come, forse, secondo alcuni, sarebbe stata in grado di fare la moglie Michelle. Rimane, poi, il dato di fatto che i sondaggisti non sono riusciti a fotografare questa grande voglia di cambiamento: che gli elettori di Trump siano l’America più muta, o che chi potenzialmente si vergogna del suo voto, non lo verbalizzi nei sondaggi, ma lo scriva nel segreto dell’urna, è un altro aspetto che interroga tutti – italiani, europei, americani – in vista delle tornate elettorali future e della predisposizione di programmi che parlino non solo alla pancia degli elettori, ma al raggiungimento di obiettivi di bene comune.
By Gage Skidmore, CC BY-SA 3.0, Link