La revisione costituzionale lascia inalterate le disposizioni che, per deputati e senatori, riguardano il divieto di mandato imperativo e le immunità. Vediamone i motivi.
Dall’art. 67 della Costituzione la riforma espunge la previsione che ogni membro del Parlamento rappresenti la Nazione, in coerenza con il nuovo art. 55 che assegna questa funzione di rappresentanza ai deputati in quanto membri della sola Camera “politica”, ma resta invece in vigore per tutti i parlamentari l’esercizio della propria funzione senza vincolo di mandato, tanto per i deputati quanto per i senatori.
Perché questa scelta e, soprattutto, cosa significa non dover sottostare ad un mandato imperativo? Come decise l’Assemblea costituente, significa garantire ai parlamentari una tutela da possibili condizionamenti o vincoli, tanto dagli elettori dai quali riceve un mandato generale, quanto dal partito di appartenenza. Il divieto del vincolo di mandato è un tratto comune nelle democrazie liberali, con un’unica eccezione, che riguarda il Bundesrat, che è stata spesso richiamata in comparazione con la natura del nuovo Senato. Nel caso tedesco i membri del Bundesrat provenienti dal medesimo Land devono votare in modo unitario (con vincolo alle direttive impartite dai singoli Esecutivi regionali ai propri rappresentanti). In seguito alla differenziazione del bicameralismo, sono state mosse obiezioni alla esclusione dei senatori dal vincolo di mandato, in quanto rappresentanti delle istituzioni territoriali. Ma, in realtà, se i nuovi senatori fossero sottoposti ad un mandato imperativo in analogia a quello tedesco, si istituirebbe un vantaggio per la rappresentanza degli esecutivi, e non dell’ente di provenienza, complessivamente inteso.
Completano le disposizioni sullo status giuridico dei senatori (mentre per i deputati non è prevista alcuna modifica) quelle relative alla insindacabilità e alle immunità (come disciplinate dalla riforma del 1993), in virtù del mantenimento del testo vigente dell’articolo 68 della Costituzione, che le riconosce a tutti i parlamentari. Insindacabilità e immunità sono prerogative che accumunano tutte le costituzioni liberali, come garanzia del legislatore rispetto agli altri poteri, esecutivo e giudiziario.
In realtà, il disegno di legge originario del Governo interveniva in profondità sull’art. 68 per differenziare le prerogative di deputati e senatori. Ai primi erano riconosciute le prerogative di insindacabilità delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio della propria funzione, e di garanzie processuali, per cui senza autorizzazione della Camera il deputato non può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, ad arresto o altra privazione della libertà personale (salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza), nonché a intercettazioni e a sequestro di corrispondenza; ai senatori era riconosciuta la sola insindacabilità.
Tale proposta è stata eliminata durante la prima lettura del Senato e il testo del vigente art. 68 della Costituzione non è più stato modificato, così che permane il riconoscimento ai senatori del medesimo regime di immunità previsto per i deputati. La ragione è stata espressa dalla relatrice Finocchiaro, con lo stesso spirito utilizzato per la conferma dell’art. 66, cioè l’autonomia del Senato in termini di assoluta indipendenza e di reciproca parità con gli organi che partecipano del potere sovrano dello Stato e, in particolare, ravvisando come, nel testo del Governo, non apparisse adeguatamente giustificata e sistematicamente coerente la differenziazione tra deputati e senatori.
In particolare, il mantenimento delle prerogative anche ai senatori si giustifica con le funzioni che restano comuni tra Camera e Senato e di cui si parlerà in altri approfondimenti.
photo credit: Palazzochigi Il Senato approva la riforma costituzionale (13/10/2015) via photopin (license)