Prosegue il nostro viaggio all’interno del testo riformato della Costituzione. Affronto, oggi, alcuni aspetti raramente oggetto di discussione pubblica, ma che introducono novità di un certo rilievo. Tra le modifiche apportate all’articolo 64 vi è la nuova disposizione, introdotta in seguito al dibattito parlamentare tra il primo esame del Senato e della Camera, che rende espressa, in Costituzione, l’attribuzione ai Regolamenti parlamentari di garantire i diritti delle minoranze e, alla Camera, di disciplinare lo statuto delle opposizioni. La prima obiezione a questa previsione – attesa, in verità, da tempo – è rivolta contro l’assenza di precise disposizioni di principio già in Costituzione in grado di orientare i Regolamenti, ma è evidente che la sede naturale (e tradizionale) per definire le modalità con le quali si rende concretamente esigibile la tutela delle minoranze è il Regolamento, che può e deve essere aggiornato per stare al passo con il contesto, che si modifica di continuo. In che modo si “garantiscono” i diritti delle minoranze, fino al limite di non farli diventare una capacità di interdizione all’iniziativa della maggioranza (ricordate l’ostruzionismo fiume degli anni Settanta ed Ottanta, che bloccava, di fatto, l’attività parlamentare?). Un paio di esempi può essere utile, anche per convenire che la sede idonea di intervento sia il Regolamento: la tutela del contraddittorio e della rappresentanza sono innanzitutto garantiti da adeguati spazi nella programmazione dei lavori di Commissione e d’Aula, in particolare grazie all’effettivo esame degli argomenti proposti dai gruppi di opposizione, in forma di proposte di legge, mozioni, atti di sindacato ispettivo. Pertanto è solo con il Regolamento – e non di certo con una norma costituzionale – che si possono disciplinare queste specifiche materie. Rispetto a questo nuovo comma, si è poi discusso dell’uso di due termini simili ma non coincidenti nel significato – minoranze e opposizioni – declinate al plurale. Significa che alla tutela delle minoranze, tradizionalmente affidata ai regolamenti parlamentari, si affianca una “ulteriore” garanzia nei confronti delle opposizioni della Camera dei deputati poiché è la sola Camera titolare ad esercitare la funzione di indirizzo politico e la sola in cui può costituirsi la “maggioranza” che sostiene l’Esecutivo perché è nella sua Aula che si voterà la fiducia al Governo.
Il nuovo sesto comma dell’art. 64 Cost., per una modifica introdotta durante la prima lettura al Senato, “costituzionalizza”, poi, quanto è già previsto da specifiche disposizioni dei Regolamenti della Camera e del Senato: l’obbligo per i parlamentari di partecipare alle sedute dell’Assemblea e ai lavori delle Commissioni. Una norma di buon senso, ma che forse non meriterebbe il rango costituzionale. Eppure… Se stiamo all’intervista rilasciata nei giorni scorsi dal sen. Ghedini (si vanta del suo 0,85% di presenze nell’Aula di Palazzo Madama) o scorriamo le presenze di molti parlamentari purtroppo ci si rende conto che per alcuni la presenza ai lavori dell’Assemblea e di Commissione non è una priorità, legittimando quindi le critiche di coloro i quali giudicano negativamente e complessivamente l’impegno dei parlamentari. Sancire questo dovere in Costituzione – promosso peraltro dalla discussione parlamentare – è forse un tentativo per attribuirgli un valore superiore e uno sprone, mi auguro, per i più assenteisti, che fino ad ora non hanno sentito la necessità di ottemperare ad un obbligo contratto con i propri elettori e con il proprio gruppo parlamentare.
Pubblicato il 26 Ottobre 2016