Proseguo il nostro viaggio all’interno della riforma costituzionale. Dopo aver affrontato le modifiche all’articolo 55, che supera il bicameralismo paritario e definisce funzioni differenti tra Camera e Senato, oggi ci dedichiamo alle nuove modalità di composizione e di elezione del Senato (articoli 57, 58 e 59).
La riforma – rispetto all’attuale composizione di 315 membri eletti a base regionale, di cui 6 eletti nella Circoscrizione esteri – prevede che esso sia costituito da 5 senatori di nomina presidenziale (che durano in carica 7 anni) e da 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali, quindi eletti dai Consigli regionali e delle Province autonome in proporzione alla popolazione della regione; dei 95 senatori, 74 sono eletti tra i membri dei Consigli regionali e 21 tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori. Poiché si tratta quindi di un “doppio ruolo”, i senatori non riceveranno alcuna indennità per la nuova funzione.
La prima novità, quindi, è relativa alla sensibile diminuzione del numero dei senatori: 95 è un numero adeguato per dare rappresentanza alle istituzioni territoriali. A questo proposito, ritengo comunque sbagliata e fuorviante la campagna pubblicitaria per il Sì promossa dai gruppi parlamentari del Pd che annuncia – tra le motivazioni per un voto favorevole – la diminuzione dei politici: sbagliata perché la riforma, in coerenza con un ventennio e oltre di programmi elettorali del centro sinistra, riduce finalmente il numero dei parlamentari (e non dei politici tout court); fuorviante perché vellica e legittima un bieco sentimento di “antipolitica”, sterile nella proposta quanto fecondo nella polemica antisistema: non c’è bisogno di meno politica, c’è necessità di più “buona politica”, come ben sanno tutti coloro che, dal più piccolo Comune d’Italia fino al Parlamento, provano quotidianamente con spirito di servizio ad onorare la responsabilità della rappresentanza popolare.
La seconda novità riguarda la modalità di elezione dei 95 membri: non più con un voto popolare diretto, ma con un’elezione “di secondo grado”. Questo è stato un punto controverso e molto discusso durante l’esame parlamentare, così come lo è tutt’oggi nel mondo politico: basti pensare che è stato tra le questioni anche all’ordine del giorno dell’ultima direzione del Pd.
Perché una elezione “di secondo grado” del Senato? Poiché esso rappresenterà le istituzioni territoriali, tale scelta è stata assunta per evitare il rischio che i senatori si facciano portatori di istanze legate più alle forze politiche che alle istituzioni di appartenenza, o, di converso, che si sentano alfieri di esigenze meramente territoriali e di “campanile”; l’elezione diretta dei senatori, poi, avrebbe potuto legittimarne la volontà ad incidere sulle scelte di indirizzo politico, che spetta alla sola Camera (e dal quale discende il rapporto fiduciario con il Governo).
Durante l’ultima lettura del testo della riforma al Senato, è stata introdotta una modifica secondo la quale l’elezione “di secondo grado” dei senatori deve comunque avvenire “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione delle elezioni dei Consigli regionali o delle province autonome”, secondo modalità che dovranno essere stabilite dalla futura legge elettorale del Senato. A questo proposito, nel corso della già citata direzione del Partito, il segretario Renzi ha annunciato che il PD assumerà la proposta di Vannino Chiti e Federico Fornaro come testo base per la discussione sull’elezione del nuovo Senato.
La proposta, in estrema sintesi, prevede che il giorno delle elezioni regionali l’elettore riceverà 2 schede: una per scegliere i nuovi consiglieri regionali e una per l’individuazione, tra i futuri consiglieri, di coloro che ricopriranno anche il ruolo di senatori, in rappresentanza della egione nel nuovo Senato. A questa espressione degli elettori dovrà attenersi il Consiglio regionale quando dovrà eleggere i senatori-consiglieri. Il meccanismo risolverebbe sia l’obiezione secondo la quale la designazione dei senatori avverrebbe per “pura discrezionalità politica” (De Siervo) e partitica, sia quella (espressa da Pace) secondo la quale se il Senato mantiene alcune funzioni legislative, allora deve essere eletto dai cittadini, ipotesi che si realizzerà, poiché il Consiglio regionale dovrà adeguarsi alle scelte degli elettori.
Sulla composizione del nuovo Senato, molti hanno sostenuto che meglio sarebbe stato disporre, in Costituzione, la presenza dei presidenti di Regione: a questa ipotesi – che avrebbe assegnato un ruolo preminente alle Giunte regionali – si è preferito indicare i consiglieri, per dare rappresentanza anche alle forze di opposizione territoriali. Nulla impedirà, comunque, che i presidenti di Regione possano diventare senatori.
In conseguenza alle modalità di elezione dei suoi componenti, il Senato non è sottoposto a scioglimento (come accade alla Camera, per rinnovarla nella composizione con le elezioni politiche), ma si rinnova parzialmente, poiché la durata dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti.
Secondo molti oppositori – di merito – della riforma, i consiglieri e i sindaci non avranno il tempo materiale per poter svolgere con dedizione e cura anche il ruolo di senatore. Stante le nuove funzioni del Senato rispetto alle attuali, l’impegno “romano” sarà assolutamente compatibile con quello di consigliere (tenuto anche conto che l’Assemblea legislativa regionale non è convocata tutte le settimane), ma credo che la miglior replica sia espressa dai casi concreti di sindaci che – già ora – sono anche deputati o senatori, come il collega Claudio Broglia, che è stato riconfermato alla guida di Crevalcore dai suoi concittadini, che evidentemente hanno apprezzato il doppio ruolo del loro sindaco.
Da ultimo affronto l’obiezione secondo la quale non è appropriato assegnare il nuovo ruolo dei senatori ai consiglieri regionali, che rappresenterebbero i politici più corrotti. A parte il fatto che molte delle indagini avviate sui rimborsi dei consiglieri regionali si stanno concludendo con assoluzioni piene (si veda quanto accaduto in Emilia-Romagna), è bene ricordare che i consiglieri regionali sono eletti secondo le preferenze raccolte dagli elettori, vale a dire con una indicazione espressa e precisa di fiducia da parte dei cittadini. Spetterà quindi alla capacità di discernimento, di valutazione e di controllo da parte degli elettori scegliere candidati consiglieri (e senatori) meritevoli della loro fiducia.
Di Francesco Gasparetti da Senigallia, Italy – Flickr, CC BY 2.0, Collegamento