Signora Presidente,
Ilaria Capua oggi ci chiede di lasciare il Parlamento. Capua è una virologa di fama internazionale che ha messo liberamente a disposizione dell’intera comunità scientifica internazionale le proprie scoperte e i dati sottostanti, e così ha condizionato lo stesso modo di fare ricerca nel mondo. La rivista Seed l’ha proclamata “mente rivoluzionaria”.
Se vogliamo rispettare la sua scelta, e le valutazioni personali che l’hanno determinata, dobbiamo accettarne le dimissioni, pur consapevoli che si tratta di una perdita secca per il Parlamento e per l’intero Paese.
Spero di riuscire a interpretare adeguatamente il sentimento di rammarico di tutto il gruppo del Partito democratico per la decisione della collega, e amica, Ilaria Capua.
Una decisione maturata in seguito a una vicenda in cui si intrecciano sospetti immeritati, ansie da scoop e un moralismo giustizialista di cui anche noi colleghi parlamentari, o almeno una parte di noi, è decisamente parte in causa.
Ilaria Capua è, innanzitutto una ricercatrice, non solo perché ha passato e tuttora trascorre la sua vita tra provette e microscopi, ma perché il metodo scientifico la accompagna nella quotidianità e nella politica, così da attraversarle e caratterizzarle entrambe per oggettività, affidabilità e spirito di condivisione. Sono questi i tratti che abbiamo apprezzato in lei nel lavoro gomito a gomito in Commissione Istruzione, associati all’assenza di ogni demagogia, all’ironia raffinata senza ombra di sarcasmo – ne sono una prova i ritratti di Abbecedario di Montecitorio – alla indiscutibile competenza. Una competenza non diventa mai supponenza anzi, semmai é lo spunto, da una parte, per guardare oltre la superficie, superare le convenzioni e non accontentarsi della risposta preconfezionata e, dall’altra, per non prendersi troppo sul serio.
Atteggiamenti e doti apprezzabili, come apprezzabile e straordinaria fu nel 2006 la scelta di condividere una sua scoperta: senza chiedere né brevetti né riconoscimenti economici, depositò la sequenza genetica del virus dell’aviaria in un database “open access”, cioè a libero accesso da parte di tutta la comunità scientifica, cambiando così, di fatto, i meccanismi internazionali alla base dei piani pre-pandemici. Questo fu il biglietto da visita con cui Ilaria Capua si presentò alla politica italiana nel 2013. Un profilo professionale tanto netto quanto adeguato per poter fare la differenza in Parlamento e incidere sulle politiche della ricerca pubblica. Ma, di fatto, non ce n’è stato il tempo.
Un anno dopo la sua elezione, nell’aprile 2014, il settimanale l’Espresso riporta con molto risalto la notizia che Ilaria Capua sarebbe iscritta nel registro degli indagati per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, abuso di ufficio e traffico illecito di virus.
Iniziano due percorsi paralleli: il calvario umano e il procedimento giudiziario. Il secondo si conclude finalmente nel luglio di quest’anno con un proscioglimento pieno perché il “fatto non sussiste”. Il primo, la vicenda umana, si sa non trova mai un epilogo definitivo, ma oggi incontra un tornante importante.
Su di lei, come troppo spesso accade in questi casi, si scatenò una bufera mediatica e politica. Fu descritta come una “trafficante di virus” e sottoposta alla pubblica gogna. Sebbene ad aprile 2014 ad Ilaria Capua nulla fosse stato contestato formalmente, i colleghi deputati del M5S in Commissione – come resta agli atti – ne chiesero “formalmente le dimissioni dalla carica di vicepresidente della Commissione. Si ritiene, infatti, – dissero allora – che tale carica richieda, a chi la ricopra, trasparenza, stato d’animo e statura adeguati”.
In questa logica – che personalmente condanno – la statura morale sarebbe conferita o revocata da un improvvisato titolo di giornale, su una vicenda che poi sarebbe stata dichiarata ufficialmente insussistente, e non da un lungo curriculum professionale e personale.
Ma quanto accaduto in questi due anni di accuse, di ombre, di sospetti sussiste, eccome! E porta Ilaria Capua alla decisione di lasciare il Parlamento e l’Italia per trovare una nuova serenità professionale all’Università della Florida, che le ha offerto di dirigere un istituto di ricerca. Al di là delle decisioni strettamente personali, che vanno rispettate, i risvolti pubblici della sua vicenda consegnano alla politica diversi motivi di riflessione.
La prima riguarda il senso di fiducia, l’affidamento reciproco che dovrebbero costituire il cemento delle nostre comunità, locali e nazionale, ma che la cultura del sospetto sta progressivamente erodendo.
Una cultura del sospetto che abbonda e si radica sempre di più. Ogni scoop giornalistico diventa indice di colpevolezza e non di rado si trasla in condanna da parte di chi, fuori dai tribunali, si autoproclama giudice e autorità morale, come nel caso delle dimissioni chieste dal Movimento 5 stelle a Ilaria Capua per il mero “sentore” di indagine sul suo conto. Non dimentichiamolo mai, ma dovremmo tutti rispettare il un principio del nostro ordinamento giuridico e costituzionale, cioè la presunzione di innocenza e quindi considerare l’avviso di garanzia non come sinonimo di sentenza di condanna, ma più semplicemente come uno strumento a garanzia dell’indagato.
Una seconda riflessione – che tocca da vicino la mia ormai decennale attività parlamentare – è la constatazione, l’ennesima per la verità, che la ricerca scientifica, in Italia, interessa a pochi, nella politica come nella società, persino quando vengono offesi il buon nome e la serietà professionale di chi la pratica al massimo livello internazionale. Signora presidente, questo è un peccato capitale per un Paese che ha un bisogno assoluto di scommettere su innovazione e ricerca se vuole uscire dalla stagnazione in cui l’ha gettato la crisi economica.
Infine, un ultimo motivo di riflessione. Le dimissioni di una figura come quella di Ilaria Capua sono una perdita per il Parlamento: ha rappresentato un valore aggiunto, mai assimilato ai modi e alle logiche consolidate tipiche di questo consesso politico, senza adattarvisi velocemente come tanti altri che volevano aprire il Parlamento come un apriscatole.
Dopo due anni di sofferenza Ilaria Capua sta riacquistando la serenità personale con la scelta di cominciare a scrivere un nuovo capitolo della sua vita.
Noi però abbiamo maltrattato il suo talento e le potenzialità che non ha mai esitato a mettere generosamente a servizio prima della ricerca pubblica, poi della politica del nostro Paese.
Lasciandola libera di perseguire il suo progetto di vita personale e professionale, le dobbiamo chiedere scusa ma insieme cominciare a riflettere su un Paese incattivito che disperde e svilisce i propri talenti migliori, incapace di riconoscerne e preservarne il valore.