Disuguaglianze sociali che si consolidano, di tipo sociale, geografico e di istruzione. Sembra essere questa la sintesi consegnataci da due ricerche i cui risultati sono oggi sui giornali: il rapporto “Osservasalute” redatto dall’Università cattolica e uno studio Istat sulle disuguaglianze sociali nella mortalità. Premesso che i fenomeni demografici sono di complessa lettura e analisi, con concause che si intrecciano e interagiscono, e con conseguenze tutte da decifrare sul più lungo periodo, gli esiti destano, comunque, preoccupazione. Il rapporto sulla salute certifica, per la prima volta negli ultimi 50 anni, una frenata nell’aspettativa di vita. Di due mesi appena, ma comunque una frenata su quella che, molti di noi nati nel secondo dopoguerra, avevano immaginato essere una linea retta progressiva. La ricerca Istat certifica, invece, che un laureato ha un’aspettativa di vita superiore di cinque anni rispetto a un suo coetaneo con la licenza elementare. Le prime avvisaglie di un cambio di rotta le avevamo avute qualche mese fa, quando furono diffusi i dati Istat su un picco di mortalità (+54mila decessi) registratosi nel 2015. Secondo i ricercatori del rapporto “Osservasalute” sul dato complessivo avrebbero influito i tagli alle risorse pubbliche spese per la prevenzione (siamo fanalino di coda tra i Paesi Ocse). E qui entrano in gioco le diseguaglianze di tipo sociale, di istruzione e geografiche. La prevenzione si muove a macchia di leopardo tra le Regioni, con quelle del Sud che arrancano soprattutto sugli screening di massa di prevenzione oncologica. Su questo aspetto si innescano le diseguaglianze di tipo sociale e di istruzione: chi ha più disponibilità economica e una maggiore consapevolezza culturale ha ovviato in proprio, adottando più sani stili di vita e continuando a curarsi con modalità e tempistica adeguate. Anche se le leggende metropolitane diffusesi tra tutte le classi sociali, ma maggiormente tra quelle più acculturate, sulla pericolosità delle vaccinazioni ha aperto una pericolosa breccia nelle azioni di prevenzione, a danno soprattutto, almeno nell’immediato, della popolazione anziana. Insomma, la lezione sembra essere questa: se non uniamo attenzione continuata a capacità di lettura e governo dei fenomeni rischiamo seriamente di far curvare la linea progressiva dello sviluppo sociale del Paese. L’altra considerazione che, invece, spontaneamente mi viene alla mente è: il sistema delle pensioni terrà conto di questo nuovo dato? Il meccanismo automatico introdotto dalla riforma Fornero di continuo adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita terrà immediatamente conto della frenata? Al momento l’unica certezza sembra essere questo sistema a trazione differenziata a seconda delle condizioni di partenza di ciascuno. Disuguaglianze che non possiamo permettere si cementifichino.
Pubblicato il 27 Aprile 2016