Delle volte sembra che giochiamo a non capirci. Cosa c’entra la decisione di dichiarare “monumento nazionale” la casa-museo di Antonio Gramsci con il progetto di un museo sul fascismo che si sta studiando a Predappio? Ben poco, se non l’attenzione a ciò che siamo stati e da dove veniamo. E di certo non c’entra la commistione vittime-carnefici, come qualcuno invece oggi spudoratamente adombra al solo scopo di muovere una velenosa critica al promotore delle due iniziative culturali: manco a dirlo, il PD “patchwork dalle cui trame può spuntare di tutto”. Scusate, ma questo lo reputo un maldestro corto circuito del senso critico. “Museificare” non significa automaticamente “celebrare” (ci sono tanti esempi di musei che lo testimoniano). Se questo è vero per la casa natale di Gramsci, per Predappio non lo è dato che il progetto si ispira alla necessità di fare storia sul fascismo e di educare alla critica, anche per sottrarre il luogo al mero pellegrinaggio dei nostalgici. Due progetti dalla genesi ben diversa, uniti dalla sola necessità di conoscere la Storia del nostro recente passato per comprenderla e per guardare all’oggi con occhi consapevoli. E, visto che ci avviciniamo al 25 aprile, perché non si ripetano gli orrori del passato. Il sindaco di Predappio, insieme a un gruppo di studiosi e in collaborazione con l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, sta ragionando non di un museo apologetico del fascismo – come qualche commento ha fatto maliziosamente intendere – ma di un museo sul fascismo. Non è solo semantica, è sostanza.
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