“La giustizia è, da sempre, impersonata da una donna bendata, ma paradossalmente le donne italiane sono potute entrare in magistratura solo 53 anni fa. Il 9 febbraio del 1963, infatti, il Parlamento italiano approvò la legge n. 66 che sanciva l’ingresso femminile nell’ordine giudiziario. I “padri” costituenti si erano cimentati sull’argomento, ma le resistenze e i pregiudizi maschili erano così radicati all’interno dell’Assemblea da convincerli a passare la “patata bollente” al legislatore ordinario, il quale fu costretto al gran passo solo in seguito a una sentenza della Corte Costituzionale del 1961. Leggendo le carte del dibattito in Assemblea costituente, c’è da rimanere sbalorditi, oggi, di fronte al pregiudizio, impunemente raccontato, per il quale la contrarietà alle donne magistrato poggia su “un difetto di equilibrio delle donne per ragioni fisiologiche”. Se non fosse chiaro ai contemporanei ci si riferisce al difetto di equilibrio in quei “famosi giorni”. Lo spiegano in tanti, uno per tutti il deputato democristiano Antonio Romano che non esita a ribadire che la donna non deve, per queste ragioni, abbandonare il focolare domestico. Nonostante tali pregiudizi e il maschilismo esibito, la società ha continuato a compiere il proprio lento cammino: qualche giorno fa, il procuratore generale della Cassazione ha potuto annunciare l’avvenuto sorpasso. Dopo 50 anni oggi in magistratura ci sono più donne che uomini. 50 anni di progresso, anche se poi, come spesso accade in altri settori, le posizioni apicali sono ancora maschili. Perché in magistratura le donne cominciano solo ora a ricoprire ruoli di responsabilità. Il ministro della Giustizia Orlando, in una lettera al quotidiano La Stampa, cita le quattro donne che sono appena state chiamate alla guida di importanti uffici giudiziari sul territorio. Tra queste c’è Lucia Musti, il nuovo procuratore capo del Tribunale di Modena, a cui vanno i miei più sinceri auguri di buon lavoro. Tante battaglie vinte non ci facciano riporre, però, l’attitudine alla battaglia per i propri diritti e il riconoscimento della propria dignità. Il pregiudizio è duro a morire: solo ieri Repubblica raccontava che, l’anno scorso, su 50 libri di storia pubblicati in Gran Bretagna solo quattro erano stati scritti da donne. E uno dei detrattori delle donne in veste di studiose di storia sosteneva “Come può una donna capire i tormenti di un leader come Cromwell?”. Ogni epoca ha i suoi #AntonioRomano…”