“È giunto il tempo che si avvii una politica che esca dall’emergenza e sia capace di costruire una filiera di accoglienza strutturata e ordinaria”: i parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Manuela Ghizzoni ed Edoardo Patriarca, prendendo spunto dai recenti episodi di cronaca locale e internazionale, propongono una riflessione più articolata sul fenomeno migratorio, sulla sua gestione, e sull’obiettivo dell’interculturalità, modello culturale originale che come Paese dobbiamo puntare a realizzare.
Non è semplice riflettere insieme sulle migrazioni quando il tema suscita fraintendimenti, timori e paure. Siamo consapevoli che il confronto è reso più difficile dal tempo che stiamo vivendo, fatto di insicurezze e fragilità. Siamo una comunità segnata dalla crisi, impaurita dalla guerra e dal terrorismo. Eppure crediamo che su questa vicenda si giochi l’idea di comunità che abbiamo costruito nel nostro territorio in questi decenni. Sembrerà paradossale, ma è sulle fragilità, qualunque esse siano, che costruiamo una buona qualità della vita per tutti, una partecipazione solidale e una cittadinanza attiva e impegnata. Vogliamo offrire alcuni dati e valutazioni come contributo ad una riflessione più esigente e rigorosa e, perché no, appassionata. Il fenomeno migratorio non è un dato momentaneo, rappresenterà un processo che coinvolgerà nei prossimi decenni continenti e popolazioni. È giunto il tempo, noi lo crediamo, che si avvii una politica che esca dall’emergenza e sia capace di costruire una filiera di accoglienza strutturata e ordinaria. Stiamo lavorando – ci permettiamo di dirlo – con impegno, abbiamo maturato idee chiare e sostenibili sulle quali il Parlamento e il Governo, con le difficoltà che conoscete e immaginate, sta lavorando da più di un anno. Ma occorre partire dai dati oggettivi, dati di verità per guardare il fenomeno dei migranti con intelligenza e razionalità. Non siamo stati invasi: il flusso in Italia nel 2015 si attesta su 150mila migranti, circa il 10 % in meno rispetto al 2014. Un milione e 200mila persone complessivamente sono entrate in tutta Europa. Se pensiamo per un attimo alla intera popolazione europea (circa 400 milioni di persone) ci rendiamo conto del valore modesto di questa quota di migranti e come questi numeri non possano, in sé, stravolgere alcunché. Davvero, per stare all’ultima polemica di Carpi, 10 migranti accolti nell’Unione delle terre d’Argine stravolgono l’equilibrio della nostra comunità di 100mila cittadini? Davvero ci sentiamo minacciati e intimoriti? Non sono clandestini, come spesso si dice: sono persone (4mila di questi sono minori) che giungono sui nostri territori, soprattutto via mare, perché fuggono da guerre e fame. Non rubano risorse agli italiani: a dire il vero dei 35 euro pro-capite al giorno solo 2,5 euro vanno ai migranti, il resto agli operatori italiani che lavorano per una accoglienza dignitosa. Le illegalità, l’uso improprio delle risorse – gli scandali di Roma e di Mineo per intenderci – non sono in carico ai migranti, ma a realtà associative e imprenditoriali italiane che in nome della solidarietà hanno compiuto azioni indegne sulla pelle dei più poveri tra i poveri. Vogliamo andare sul concreto e spiegarvi le linee guida su cui stiamo lavorando, partendo da un assunto fondamentale, ancorato alla nostra Costituzione e alle carte internazionali dei diritti: la solidarietà è il valore fondativo sul quale vive una comunità, che la abilita a vivere nel tempo, forte della sua storia, aperta e sempre pronta all’incontro e al nuovo. Sappiamo che questo potrà apparirvi molto teorico o aleatorio, ma noi ci crediamo. E siamo convinti che il nostro Paese abbia tutte le energie umane e culturali per costruire un sistema di accoglienza e un modello originale in Europa, fondato sull’interculturalità: rispetto reciproco di fedi e culture, con alla base la condivisione dei principi su cui si fonda il nostro patto sociale, cioè la nostra Costituzione. Un sistema articolato in una filiera ben organizzata e diffusa sui territori, in carico ai Comuni e non più al Ministero degli Interni, che dovrebbe continuare a gestire la prima accoglienza. Se vogliamo uscire dall’emergenza servono meno gestioni prefettizie e più servizi territoriali in capo a Comuni e Terzo settore. Di conseguenza dobbiamo garantire risorse adeguate ai Comuni, perché l’accoglienza sia anche integrazione, una risposta organica connessa al sistema di welfare locale, che non lo appesantisca, ma piuttosto lo sostenga e lo rafforzi. Oggi spendiamo troppo per l’emergenza e troppo poco per l’integrazione, come spesso avviene in questo Paese su tanti fronti. Occorre poi una riforma comunitaria del diritto di asilo e dello status di rifugiato, e una contestuale riforma delle procedure di espulsione (che funzionano poco) e del reato di clandestinità (che non ha funzionato per nulla). Serve una riforma della cittadinanza e delle procedure per ottenerla, a partire dai bambini: con lo ius soli temperato, che già abbiamo approvato alla Camera, stiamo facendo un deciso passo avanti. Crediamo vada ulteriormente potenziata la cooperazione internazionale. E’ quanto abbiamo fatto con la recente riforma del settore, che istituisce l’apposita agenzia, e lo abbiamo fatto stanziando, dopo molti anni, maggiori risorse con la Legge di stabilità. La strada da recuperare è molta ma abbiamo iniziato. “Aiutiamoli a casa loro”, invece, è sempre più lo slogan che usa in televisione chi poi in Parlamento si oppone alla cooperazione verso Paesi (soprattutto africani) che vivono nella miseria. Ma soprattutto serve più Europa, perché sul fronte internazionale questa sfida potrà essere affrontata solo insieme. Se non ne saremo capaci l’Europa rischia la sua stessa esistenza, permettendo che attorno ad essa, ai suoi confini difesi con muri e fili spinati, si addensino forme di sfruttamento inenarrabili sulle persone più fragili, si rafforzi la mafia della tratta umana, la violenza sulle donne, il mercato dei bambini. Non è questo il mondo che vogliamo e ben altro meritano i nostri figli che già oggi nelle scuole convivono tra etnie, colori, religioni differenti. Confermiamo la nostra vicinanza e il nostro sostegno agli amministratori locali e al terzo settore che, nella quotidianità, ricercano soluzioni sul territorio mentre altri urlano, dividono, minacciano. Per i problemi complessi non esistono soluzioni semplici. Serve un progetto e un’assunzione di responsabilità.