Dal Il Sole 24 del 02 gennaio 2016, un interessante articolo dedicato al Medio Oriente.
Chiunque visiti il Medio Oriente non può fare a meno di notare l’enorme abisso tra le aspirazioni educative, imprenditoriali e occupazionali dei giovani della regione e la dura realtà che priva molti di loro di un futuro positivo.
Infatti, metà della popolazione giovanile tra i 18 e i 25 anni che vive nel Medio Oriente è o disoccupata o sottooccupata.
La crisi globale dei rifugiati sta aggravando questa situazione con lo spostamento di circa 30 milioni di bambini, di cui sei milioni solo dalla Siria, pochissimi dei quali faranno ritorno a casa in età scolare.
Non è quindi sorprendente che il gruppo noto nella regione come Daesh (Stato islamico) crede di aver trovato terreno fertile per reclutare in questa vasta popolazione di giovani insoddisfatti e che non possiedono nulla.
I propagandisti di Daesh stanno abusando dei media sociali nello stesso modo in cui i loro predecessori e contemporanei estremisti hanno spesso abusato delle moschee, ovvero come forum per la radicalizzazione. Il gruppo posta continuamente contenuti che sfidano la coesistenza dell’Islam con l’Occidente ed esorta i giovani alla jihad.
I video estremamente violenti prodotti da Daesh lanciano degli appelli scioccanti. Ma ciò che più attira in realtà i giovani insoddisfatti è l’invito a fare parte di qualcosa che sembra più grande di loro stessi e delle società in cui vivono. Shiraz Maher del Centro internazionale di studio per la radicalizzazione (ICSR) presso il King’s College di Londra individua un sentimento comune che unisce chi viene reclutato: «giusta indignazione, spregio, un senso di persecuzione ed il rifiuto a conformarsi». Come indica un recente rapporto della Quilliam Foundation, Daesh gioca sul desiderio giovanile di essere parte di qualcosa che conta. È l’appello utopico dell’organizzazione che attira la maggior parte dei nuovi reclutati.
Alla luce di ciò, solo pochi non sarebbero d’accordo sul fatto che ci troviamo di fronte ad una battaglia generazionale sia a livello sentimentale che intellettuale che non può essere sconfitta solo dai mezzi militari. L’hard power può ovviamente eliminare i leader hard power di Daesh, ma avremo bisogno di ben di più di questi mezzi per convincere circa 200 milioni di giovani musulmani che l’estremismo rappresenta, letteralmente, un vicolo cieco.
Ci sono molti esempi di operazioni nascoste volte a contrastare il terrorismo nel subcontinente indiano e nel Medio Oriente, tra cui riviste per bambini in Pakistan, video per i teenager nel Nord Africa, emittenti radio nel Medio Oriente e libri e pubblicazioni contro Al Qaeda. Questi strumenti possono aiutare a fare venire fuori la verità sulla vita con Daesh (ovvero brutale, corrotta e caratterizzata da epurazioni interne) in molti modi tra cui attirare l’attenzione sulle defezioni. Come indica infatti un rapporto del 2014, «[la stessa esistenza di defezioni] distrugge l’immagine di unità e determinazione che [il gruppo] cerca di trasmettere».
Ma dobbiamo essere più ambiziosi se vogliamo vincere il conflitto delle idee, sostenendo lo spazio culturale che Daesh chiama “la zona grigia” e che aspira a distruggere. È uno spazio in cui i musulmani ed i non musulmani possono coesistere, scoprire valori condivisi e collaborare. Peter Neumann, direttore dell’ICSR, ha proposto l’idea di una gara su YouTube tra video che spieghino gli aspetti fallimentari di Daesh. «Riceviamo 5.000 video in tempi record» ha detto Neumann. «Quattromila sono di solito spazzatura, ma 1.000 di questi video sono efficaci; quindi 1.000 video contro la propaganda [di Daesh]».
Tuttavia, lo strumento migliore di lungo termine per contrastare l’estremismo è l’istruzione. A Giaffa in Israele una scuola gestita dalla Chiesa di Scozia insegna le virtù della tolleranza ai bambini musulmani, ebrei e cristiani. In tutto il Libano un programma scolastico comune che promuove la diversità religiosa, compreso «il rifiuto di qualsiasi forma di radicalismo e di isolamento settario o religioso», viene insegnato ai bambini sunniti, sciiti e cristani sin dai nove anni. Il paese ha inoltre introdotto dei doppi turni nel suo sistema scolastico per garantire il posto a circa 200.000 bambini rifugiati siriani.
Se il Libano, che vive un contesto turbolento ed è afflitto da violenze settarie e divisioni religiose, è in grado di promuovere la coesistenza e di garantire ai rifugiati siriani la possibilità di studiare, non c’è alcuna ragione per cui altri paesi nella regione non dovrebbero seguire lo stesso esempio.
La scelta non potrebbe essere più chiara. Possiamo stare fermi e guardare una nuova generazione di giovani musulmani esperti del web essere sommersi da false dichiarazioni sull’impossibilità di coesistenza tra l’Islam ed i valori occidentali. Oppure possiamo riconoscere che i giovani del Medio Oriente ed il resto del mondo musulmano condividono le aspirazioni di tutti i giovani del mondo.
Tutte le prove indicano che i giovani della regione vogliono istruzione, occupazione e la possibilità di sfruttare al meglio il proprio talento. Il nostro proposito per il 2016 dovrebbe essere quello di rendere tutto questo una realtà.
(Traduzione di Marzia Pecorari)
Gordon Brown, già premier del Regno Unito,
è inviato speciale delle Nazioni Unite per l’educazione
© PROJECT SYNDICATE, 2016
Gordon Brown