Nel nostro Paese c’è chi attribuisce alla cultura una funzione quasi miracolistica, in genere abbinata ad una visione “petrolifera” secondo la quale il patrimonio culturale, un po’ come i combustibili fossili, genererebbe ricchezza per il semplice fatto di esistere, a patto che si individui la “formula magica” che renda ciò possibile (leggi: un modello di valorizzazione capace di generare ingenti profitti dallo sfruttamento turistico-commerciale del patrimonio). C’è chi al contrario nega alla cultura qualunque reale potenziale di sviluppo, considerandola un puro centro di costo per la finanza pubblica e incapace di generare autonomamente valore economico. In realtà tutte e due le visioni sono palesemente infondate. La cultura produce sviluppo, ma attraverso modalità e canali in gran parte diversi da quelli suggeriti dalla visione ”petrolifera”. Alcuni settori della produzione culturale non hanno un modello di produzione e organizzazione di tipo industriale, ma non per limiti di capacità di chi vi opera bensì per la loro intrinseca natura (il patrimonio culturale ed i musei appunto, assieme a gran parte delle arti visive e dello spettacolo dal vivo), hanno effettivamente bisogno di un sostegno esterno, pubblico o privato che sia, e possono di fatto essere paragonati alla ricerca di base in ambito scientifico in quanto sono i settori che, per le loro caratteristiche, sono tra i principali generatori di innovazione culturale in termini di linguaggi, estetiche, dispositivi di senso, e così via.
Vi sono poi le industrie culturali (in primo luogo cinema, musica, radio-televisione, editoria e videogiochi) e quelle creative (design e moda, progettazione architettonica, comunicazione e pubblicità) che sono invece non soltanto organizzate industrialmente, ma capaci di produrre ingenti economie. Vi sono poi le nuove piattaforme digitali di produzione e distribuzione di contenuti, che sfuggono anche ai modelli tradizionali di industria culturale e che non soltanto possono produrre un notevolissimo valore aggiunto, ma sono anche parte integrante del core business di tutti i principali giganti del nuovo ecosistema digitale, e in particolare di tutte e quattro le Big Four: Google, Amazon, Facebook, Apple. Il più grande errore che si possa fare è considerare questa complessa rete di settori, che presenta fortissime interdipendenze, come una serie di realtà separate invece che come parte, appunto, di un grande e complesso ecosistema, nel quale può accadere ad esempio che un gigante industriale fortemente orientato al profitto come Google lanci un Art Project che si rivolge a settori non industriali come appunto quello dei musei e degli archivi come iniziativa di valore strategico non tanto in quanto profittevole in sé, ma in quanto capace di generare economie attraverso la complementarità con altre aree dal grande potenziale di mercato.
Quando nel 2012 la Domenica del Sole 24 Ore lanciò il suo Manifesto per uno sviluppo a base culturale, i suoi cinque punti proponevano un modo concreto di pensare la cultura come un sistema, guardando al quadro complessivo più che ai singoli dettagli. A partire dalla risposta entusiastica di attenzione e partecipazione ricevuta dal Manifesto, si è avviato un percorso di dialogo che, non senza tortuosità, inizia tuttavia a generare frutti concreti, che trovano una sintesi significativa nel quadro delle misure previste nella nuova Legge di Stabilità, e che dirigono le risorse verso obiettivi coerenti e significativi. Il punto cinque del Manifesto sottolineava la necessità di un maggiore incoraggiamento all’investimento privato sulla base di sgravi fiscali, e nella Legge di Stabilità troviamo la stabilizzazione dell’Art Bonus al 65% per le erogazioni liberali a favore della cultura e il potenziamento del tax credit per la produzione cinematografica ed audiovisiva, che passa dai 115 milioni del 2015 ai 140 del 2016, e che si sta rivelando una misura efficace per attrarre più produzioni cinematografiche internazionali nel nostro Paese. Il punto tre del Manifesto auspicava un maggiore coordinamento tra le politiche culturali e quelle turistiche, oggi riunite in uno stesso Ministero, e che vedono un incremento, ancora piccolo ma comunque significativo, di 10 milioni di euro annui per la promozione turistica italiana da parte del nuovo Enit. Il punto due del Manifesto invitava e ragionare in termini di strategie di lungo termine, e anche qui si ha un segnale positivo, con il concorso per 500 nuovi funzionari scelti nell’intero ventaglio delle discipline dei beni culturali, dalla storia dell’arte all’archivistica, dal restauro alla promozione; e con l’incremento di 30 milioni di euro annui a favore di archivi, biblioteche e istituti culturali del Mibact; di 15 milioni annui per istituti, associazioni e fondazioni culturali; 20 milioni annui per i musei; 100 milioni annui per la tutela del patrimonio storico-artistico; e 135 milioni complessivi per il Fondo Grandi Progetti Culturali tra il 2017 e il 2018, per interventi strategici sul patrimonio quali quelli per il Colosseo e per l’ampliamento degli Uffizi. Ci sono anche 28 milioni in quattro anni per Matera Capitale Europea della Cultura 2019 (un contributo statale importante se confrontato con gli standard delle Capitali di altri paesi europei) e la razionalizzazione delle società in house del Mibact con la nuova Ales che incorpora tra l’altro Arcus.
A questo quadro si accompagna l’investimento di oltre un miliardo di euro del piano per l’edilizia scolastica del Miur, che tocca un altro punto chiave per lo sviluppo di lungo termine del nostro Paese quale l’ammodernamento infrastrutturale del sistema educativo; assieme ai 100 milioni annui per l’alternanza scuola-lavoro; ai 45 milioni dei laboratori territoriali per l’occupabilità co-progettati con il sistema economico, della formazione e della ricerca locale; ai 340 milioni annui per la formazione e l’aggiornamento dei docenti; ai 93 milioni annui per l’arricchimento dell’offerta formativa, tra cui 5,5 milioni per la scuola inclusiva (in particolare due milioni per alunni con disabilità e 2,5 per la scuola in ospedale e l’istruzione domiciliare). Sono misure importanti, che vanno però considerate come un primo segnale a cui dovranno seguire politiche più articolate, soprattutto per quanto riguarda il sostegno alla produzione culturale e creativa: l’Italia non è oggi tra i primi 10 paesi al mondo per la produzione di contenuti culturali, e come mostra la Tabella il peso economico delle industrie creative nel nostro Paese è inferiore a quello dei due Paesi leader in Europa, il Regno Unito e la Francia, e pari a quello della Germania che però soltanto da poco sta sviluppando una politica focalizzata di sostegno a questi settori. Nel caso italiano ciò che manca è appunto una strategia di sistema, e in particolare un’agenzia nazionale capace di elaborare e promuovere una strategia di lungo termine e di coordinare e razionalizzare gli interventi, soprattutto per quel che riguarda la complementarità tra i settori culturali tradizionali e quelli industriali e creativi, da cui potrebbero derivare risorse importanti per la sostenibilità dei primi. Ma la direzione è quella giusta, e c’è da sperare che nei prossimi anni la cultura possa finalmente diventare una delle leve di vantaggio competitivo per lo sviluppo italiano.
Pubblicato il 26 Ottobre 2015