Leggere non è fuggire dalla realtà, ma trovare una chiave per comprenderla. Lo dice il presidente Mattarella, che non smentisce il ruolo di primo tra gli italiani anche come lettore, coerente nelle scelte letterarie con i valori del suo impegno, a partire dalla lotta antifascista
RAGAZZI, INIZIATE DAI LIBRI PER CAPIRE LA VITA
di Marzio Breda
«I libri sono un giacimento sterminato per comprendere la vita e attraversarla. Cominciate con Dostoevskij, cari ragazzi». È il consiglio che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella rivolge ai giovani in un colloquio con il Corriere sul valore della lettura. Un colloquio dal quale — attraverso l’elenco delle letture, prime fra tutte quelle scelte per la vacanza palermitana — emerge il ritratto dell’autorità morale e culturale del capo dello Stato: il riferimento al «filone montiniano» del cattolicesimo, impegnato e saldo nei principi, e quello ai temi fondanti della democrazia europea e della nostra Costituzione, a cominciare dal patrimonio nazionale della lotta di liberazione dal fascismo.
E lenca i libri che ha voluto portarsi in vacanza nella casa di Palermo, ieri pomeriggio, con il desiderio di sentirsi finalmente sciolto dalle preoccupazioni del Palazzo anche grazie alla «felicità della lettura». Lo ascolti, e ti viene da pensare che Sergio Mattarella in fondo segue la prassi psicoanalitica del «regredire per progredire». Cerca cioè di «recuperare alla piena luce della coscienza» — era Proust a usare questa metafora — gli eventi e le emozioni dentro le quali è cresciuto, nello sforzo di «tenere sempre al centro l’uomo e la libertà». Volumi i cui temi un po’ rispecchiano il suo stato di famiglia: culturale, politico e morale.
«Ne ho preparati diversi, di vario genere, da mettere in valigia… Narrativa, storia, saggistica», dice il presidente. «Tra gli altri Il tempo migliore della nostra vita , di Antonio Scurati, e Possa il mio sangue servire , di Aldo Cazzullo. E poi l’ultima fatica da biblista di Enzo Bianchi, Raccontare l’amore ».
Sono, come si vede, libri utili a rievocare il passato (specie quello prossimo) per immaginare il futuro, sperando che sia migliore. Insomma: tutto si tiene, in quei volumi, di certi tratti identitari del presidente della Repubblica. Indizi decisivi per capire come ragiona, si esprime, agisce.
Succede se si riflette sul racconto, scritto da Scurati, del rifiuto di Leone Ginzburg a prestare il giuramento di fedeltà al fascismo, l’8 gennaio 1934: il «no» coraggioso e raro (infatti, a fare la stessa scelta furono soltanto 13 docenti universitari su 1.300) di un combattente giovane e mite, divenuto eroe della Resistenza quasi suo malgrado, visto che non imbracciò mai un’arma. Sullo stesso registro si colloca il libro di Cazzullo, concepito per dimostrare, tra ignote microstorie e grandi memorie consegnate all’ufficialità, che la lotta di liberazione è stata un patrimonio nazionale, senza che nessuno possa accampare pretese egemoniche. Mentre la riflessione di Bianchi, priore del monastero di Bose, traccia un’inedita strada per riscoprire il messaggio d’amore di Gesù attraverso quattro famose parabole evangeliche.
Ma c’è un altro volume che Mattarella ha ripreso dagli scaffali, ed è pieno di vecchie sottolineature e appunti: La crisi della civiltà di Johan Huizinga, lo storico olandese stroncato dalla prigionia nei campi tedeschi e che fu tra i primi a coltivare cupi presentimenti sulla decadenza dell’Occidente. Spiega il capo dello Stato: «È un contributo fondamentale alla civiltà europea, tradotto in italiano personalmente da Luigi Einaudi. L’ho letto per la prima volta più di cinquant’anni fa. Ne posseggo un’edizione del 1938, acquistata allora da mio padre. Lo sto rileggendo adesso e scopro che, nonostante sia passato quasi un secolo, le analisi e gli allarmi che contiene sono attualissimi. Ad esempio la denuncia del rischio di far prevalere le suggestioni provocate da interesse o da desideri sul giudizio critico basato sulla conoscenza dei fatti».
Ecco la sua maniera di tornare ai momenti fondanti della democrazia europea e della nostra stessa Carta costituzionale e rinsaldare le proprie convinzioni. Cenni che richiamano il periodo della sua giovinezza, in un ambiente cattolico impegnato e saldo sui principi, di conseguenza per nulla incline alle confusioni ideologiche e alle ventate di astratti furori che hanno agitato l’epilogo degli anni Sessanta. Il padre Bernardo, antifascista fin dai tempi del delitto Matteotti, nel 1924, fu legato a figure come Sturzo, don Minzoni, La Pira, De Gasperi. Il fratello Piersanti, e lui stesso, a Moro, Zaccagnini, Elia, Scoppola. Per cui viene naturale chiedergli quali libri gli siano passati per le mani nell’adolescenza. C’è stato qualche autore che ha segnato più di altri il suo percorso e con il quale è entrato più «in comunione»? E perché?
«La mia formazione si richiama a quel filone che potrebbe essere definito montiniano… (dal nome di Papa Paolo VI, la cui immagine fu schiacciata da giudizi troppo sommari di tormentato amletismo, mentre stava invece aprendo la Chiesa al mondo, ndr ). Umanesimo integrale di Jacques Maritain è il testo che, tutt’ora, ritengo mi abbia maggiormente influenzato rispetto al senso della vita e della responsabilità personale. Ma da giovane ho letto molto… Da Fedor Dostoevskij ad Aleksandr Solzenicyn, da William Somerset Maugham a Paul Claudel, da Thomas Eliot a Ignazio Silone, da Benedetto Croce a Romano Guardini, dai libri di storia di Winston Churchill e di Luigi Salvatorelli a tanti altri».
Mattarella, dunque, già da ragazzo era quel che si dice un lettore «forte» di libri, oltre che di giornali, dei quali apprezza le iniziative per promuovere il dibattito delle idee nel senso più vasto del termine (come si sforza di fare il «Corriere della Sera» con «la Lettura»). Un giovane pieno di slanci e curiosità che, nei propri incroci culturali, si poneva questioni di gnosi, di conoscenza, più che di mera espressività, come accade a molti di coloro che coltivano l’interesse per altre arti: musica o pittura, per intenderci. E che, come carta assorbente, di pagina in pagina tentava di cogliere e imprimere dentro di sé qualche risposta alle domande ultime che ci si pongono a quell’età.
Letture inquiete e impegnative, spesso improntate alla voglia di educarsi su un registro da stoici. Letture tipiche di uno che coltiva il dubbio e sta ogni giorno in allarme, dominate dall’ansia di chi non cerca riparo in confortevoli «verità» ideologiche totali e non ha la presunzione che esista un’utopia migliore delle altre. Ciò che hanno fatto in tanti, nel Novecento, per giustificare il proprio abbraccio ai totalitarismi.
È un pezzo di autoritratto, quello che affiora dal colloquio sui libri con il presidente, che ci riporta ad alcune curiose predilezioni dei suoi più vicini predecessori al Quirinale. Francesco Cossiga, per esempio, diceva con civetteria di amare alla pari Tommaso Moro, la poesia elisabettiana e le spy story . Oscar Luigi Scalfaro, ortodosso ai canoni ottocenteschi, si attardava ancora sul Manzoni e sui versi della tradizione, che sapeva recitare a memoria. Il filologo Carlo Azeglio Ciampi continua a esplorare la saggistica che si concentra sull’«io diviso» degli italiani, senza trascurare i classici latini e greci e le incognite dell’economia. E Giorgio Napolitano spazia dagli affreschi storici ad André Malraux a Irène Némirovsky, fino alla memorialistica spiccatamente politica. E lei, presidente, quali generi letterari predilige? E quale valore dà alla poesia, piuttosto trascurata dagli editori, che però conta sempre su un pubblico fedele?
«Esclusa la poesia elisabettiana e le spy story — sorride Mattarella, stando al gioco — mi interessano e ho “frequentato” tutti i generi che lei ha indicato e attribuito alle preferenze dei vari presidenti. Vi manca un po’ forse la narrativa, cui pure faccio ricorso. “Frequento” anche la poesia: questa evoca, sollecita, suggerisce intuizioni, aiuta a comprendere molto di se stessi e degli altri, e del mondo che ci circonda. I versi di Giuseppe Ungaretti dal fronte della Grande guerra ne fanno comprendere la realtà anche più di alcune rievocazioni storiche. Vorrei aggiungere, infine, che non so quanti nostri concittadini si rendano conto di quanto numerosi siano i modi di dire del parlare quotidiano contenuti nei versi della Divina Commedia …».
E ai giovani che cosa consiglierebbe di leggere, oggi, per dotarsi di qualche buon antidoto nel clima di generale indifferenza e cinismo e per indurli a «sperare malgrado la disperazione»?
«Potrei ripetere, con molto rispetto per le scelte di ciascuno, quel che dico ai miei nipoti adolescenti: i libri sono un giacimento sterminato per comprendere la vita e attraversarla… Cominciate con Dostoevskij, cari ragazzi»