Il braccio armato dell’uomo non era mai stato così devastante, l’umanità mai così fragile. Settant’anni dopo, Hiroshima e Nagasaki restano il manifesto più potente dell’atrocità della guerra. Anche nei momenti più difficili della contrapposizione Est-Ovest, quell’attacco nucleare è stato un monito assoluto a evitare di precipitare nello stesso orrore, fino a far prevalere il coraggio della pace. La fine della Guerra fredda ha segnato un passo importante e non scontato verso il disarmo. Con la fine di quell’equilibrio del terrore, leader coraggiosi e lungimiranti scelsero di investire nella sicurezza del mondo e così anche in quella dei propri cittadini: per la prima volta ci si rese conto che il disarmo e la non proliferazione potevano essere non solo strumento di pace, ma anche di sicurezza.
Oggi questo è ancora più vero. Il Trattato di non proliferazione nucleare, l’Npt, è ancora lontano dall’essere pienamente applicato e, intanto, la minaccia si è fatta più frammentata, il rischio della diffusione di armi atomiche e di guerre «sporche» si è moltiplicato. In questo contesto, l’accordo che abbiamo firmato con l’Iran è, sia per il merito sia per il metodo, una vittoria senza precedenti sulla strada della non-proliferazione e della diplomazia, della sicurezza e della pace. Ha mostrato che la Comunità internazionale è capace di unità e di portare risultati attraverso il dialogo e il multilateralismo. Non è un caso che proprio l’Europa abbia svolto un ruolo di facilitazione nei negoziati. Per decenni, anche geograficamente cuscinetto tra due super potenze, abbiamo vissuto nel terrore di uno scontro nucleare. Ma su quella paura abbiamo saputo costruire la speranza: l’Europa è il continente che sulla memoria delle atrocità della guerra ha costruito un grande spazio di pace, pure attraversato ancora da conflitti terribili, dentro e fuori dai suoi confini. La memoria resta per noi europei la chiave della pace, la base per la riconciliazione e per la costruzione di un futuro comune. E la memoria di ciò che è stato, esattamente settanta anni fa, a Hiroshima e a Nagasaki può e deve essere una chiave universale di pace e di sicurezza. La non proliferazione, l’entrata in vigore del bando dei test nucleari, l’uso pacifico dell’energia nucleare sono battaglie universali, globali, non conoscono confini. Ne parliamo in questi giorni anche al vertice dei Paesi del Sud-Est asiatico a Kuala Lumpur, dove mi trovo per rappresentare l’Unione Europea, e dove il ricordo dei settant’anni della fine della Seconda guerra mondiale si intreccia alle nuove ansie per la sicurezza regionale. Quello che lega la memoria di Hiroshima e Nagasaki, il successo dei negoziati per il nucleare iraniano e il nuovo bisogno di una visione di pace e di sicurezza, in molte parti del mondo, è il coraggio di costruire un nuovo ordine mondiale che sia basato sul dialogo e la cooperazione e non sulla contrapposizione. Non per buonismo, ma perché la pace è il più vantaggioso degli investimenti .
Certo, servono leader coraggiosi in tempi difficili. Come Ronald Reagan e Michail Gorbaciov trent’anni fa riuscirono ad aprire una nuova pagina nelle relazioni tra i due blocchi. Anche il nostro è un tempo difficile, privo di blocchi e superpotenze ma non certo di conflitti, da quelli a noi più vicini, dal Medio Oriente al Nord Africa, a quelli più lontani o dimenticati ma non per questo meno rilevanti per la nostra stessa sicurezza, dall’Africa subsahariana all’Asia. Dobbiamo, oggi come allora, avere la forza di scegliere e la capacità di costruire la pace. Per far sì che nessuno debba più scrivere, di fronte alle atrocità piccole o grandi della guerra, quello che il capitano Robert A. Lewis annotò sul diario di bordo del bombardiere «Enola Gay» che sganciò la bomba atomica su Hiroshima: «Dio mio, cosa abbiamo fatto». Settanta anni dopo, la memoria ci può guidare verso il coraggio della pace .
*Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza