PADOVA
Ricordate quando infuriavano giustificate polemiche sugli insensati sforacchiamenti degli affreschi di Vasari in Palazzo Vecchio alla vana ricerca di una fantomatica larva della Battaglia d’Anghiari e sull’acquisto pubblico di un crocifissino seriale, che si fregiava incautamente di un’attribuzione al giovane Michelangelo? Mentre sui media divampavano le dispute su questi scoop immaginari, passava sotto silenzio la scoperta, non virtuale ma concretissima, di uno strepitoso Crocifisso inedito di Donatello, sebbene fosse stata resa nota con inoppugnabili argomenti da due articoli usciti nel 2008 su Prospettiva, rivista di storia dell’arte, che è fra le più autorevoli in circolazione nel mondo.
La vicenda era cominciata nel 2006 nella Beinecke Library di Yale, dove Marco Ruffini, un valente studioso di letteratura artistica formatosi tra Roma e Berkeley, era intento a uno scrupoloso scrutinio delle preziose annotazioni a penna, vergate ai margini di un esemplare delle Vite vasariane da due anonimi bene informati sulle vicende artistiche venete, che lo possedettero poco dopo la sua pubblicazione nel 1550. Giunto al brano in cui Vasari enumera le varie opere eseguite da Donatello durante il suo soggiorno padovano, Ruffini s’imbatté nella seguente postilla che lo fece sussultare: «ha ancor fato il Crucifixo quale hora è in chiesa di Servi di Padoa».
Un altro Crocifisso padovano di Donatello oltre a quello, celeberrimo, dell’Altare del Santo? Lo studioso si riservò di approfondire, perché la tendenza a “sparare” nomi altisonanti per opere modeste non è solo un malvezzo odierno, ma ha una consolidata tradizione. Non essendo, però, uno specialista di scultura, una volta acquisita la rara foto di un singolare Crocifisso ligneo posto tuttora su un altare della chiesa padovana dei Servi, ebbe l’intelligenza e l’umiltà di chiedere un parere a Francesco Caglioti, una delle massime autorità nel campo della scultura rinascimentale e autore di un volume su Donatello che è già giustamente considerato un classico.
Nell’osservare la foto, fu Caglioti, a sua volta, a trasalire: nonostante la pesante verniciatura ottocentesca a finto bronzo, l’impronta donatelliana e la qualità dell’opera balzavano evidenti. D’intesa con Ruffini, lo studioso si precipitò a Padova, dove il riscontro autoptico compiuto dal suo occhio esperto su quel Cristo, intagliato in legno di pioppo e alto quasi due metri, non lasciò spazio a dubbi. L’anonima postilla non mentiva: un nuovo capolavoro di Donatello veniva ad affiancarsi al Crocifisso bronzeo dell’Altare del Santo, prossimo ad esso per cronologia ma diverso per materia, e – sarei tentato di dire – conseguentemente, più realistico ed emaciato del suo più prestante ed eroico gemello in bronzo. Si giunse così, dopo ulteriori indagini compiute in tandem, ai due articoli su Prospettiva , in cui Ruffini e Caglioti rendevano nota la scoperta, riuscendo anche a spiegare come mai, tranne un paio di eccezioni oltre a quella dell’anonimo postillatore, a Padova si era precocemente persa la memoria dell’esistenza di questo secondo Crocifisso donatelliano. Nel 1512, infatti, quel Cristo ligneo, che con ogni probabilità era posto all’altezza del tramezzo, secondo le cronache dell’epoca stillò a lungo un sudore sanguinolento. A seguito di tale evento, fu costruita un’apposita cappella a sinistra del coro, dove il Crocifisso fu esposto alla venerazione dei fedeli. Il “miracolo del sangue” produsse così un curioso paradosso: l’opera uscì dalla storia dell’arte per entrare in quella della pietà popolare, la cui luce abbagliante oscurò, fino a cancellarlo, il nome del suo autore.
In questi mesi, però, celebriamo un altro miracolo: quello prodotto dalla sapienza laica di un restauro sbalorditivo che ha impegnato in quattro anni di fruttuosa collaborazione le Soprintendenze Venete, l’Opificio delle Pietre dure e il Centro Conservazione e restauro di Venaria Reale. Quest’ultimo ha sottoposto la scultura a una Tac integrale, i cui dati hanno guidato gli occhi e la mano dei restauratori Catia Michielan e Angelo Pizzolungo, dando ragione a quanto Caglioti aveva intuito: sotto la sfigurante verniciatura a finto bronzo, infatti, era rimasta quasi intatta la mirabile coloritura originaria, di Donatello stesso o di un suo stretto collaboratore, rimossa la quale il Cristo, è per così dire, resuscitato, rivelando una franchezza esecutiva e una verità naturalistica da lasciare senza fiato. Da questo miracoloso “disvelamento” ha preso le mosse l’odierna mostra ( Donatello svelato.
Capolavori a confronto , Padova, Museo Diocesano, fino al 26 luglio), che Andrea Nante, dinamico direttore del Museo Diocesano, e Marica Mercalli, della locale Soprintendenza, hanno concepito come un serrato confronto tra il capolavoro ritrovato, cui è stato assegnato il compito di aprire il percorso, e due altri celebri Crocifissi donatelliani: quello coevo, ma in bronzo, dell’Altare del Santo, che visto da vicino riserva anch’esso sorprese sensazionali, e quello ligneo e giovanile di Santa Croce a Firenze (1406-08), intorno al quale Vasari ha imbastito l’arcinota storiella di Brunelleschi, che critica l’amico perché ha messo in croce “un contadino”, per poi dimostrargli la propria superiorità scolpendo l’esemplare “perfettissimo” di Santa Maria Novella.
Il visitatore, messo a tu per tu con il Cristo dei Servi “disvelato” anche del perizoma e sostenuto da un sistema autoportante che ne consente una visione a 360°, ha il privilegio di una “comunione” totale con il capolavoro “miracolato”, assai difficilmente ripetibile dopo che esso sarà ricollocato nella cappella da cui proviene. Ma è anche messo in condizione di effettuare stringenti raffronti tra i tre crocifissi, che sono simili e, al tempo stesso, sconcertantemente diversi tra loro, perché testimoniano lo smisurato talento di un artista capace di cogliere la doppia natura, dionisiaca e apollinea, dell’eredità tramandata dall’Antico, spinto dall’urgenza di non tradire mai la propria natura di insaziabile sperimentatore di materiali e procedimenti tecnici dissimili, al servizio di differenti registri espressivi.
Pubblicato il 7 Giugno 2015