Negli ultimi anni, si tende a parlare del Mediterraneo come di un bacino che separa nei comportamenti la sponda settentrionale da quella meridionale: dai Paesi del Sud si emigra, mentre quelli del Nord sono chiamati all’accoglienza; le diversità etniche, culturali e religiose tra i due lati del Mare Nostrum sono un ingrediente non secondario di incomprensioni, conflitti ideologici, antagonismi socio-economici, episodiche guerre fratricide, che del resto attraversano anche ciascuna delle due aree.
L’attenzione focalizzata sulle donne del Mediterraneo permette invece di guardare a problemi, speranze, opportunità, condivise tra le due rive del Mediterraneo, ancorché siano forti anche le differenze fra i due universi di riferimento, come l’indicatore dello sviluppo umano (HDI), prodotto dalle Nazioni Unite (Human Development Report, 2015), chiaramente illustra: dei 6 Paesi mediterranei presenti nella sessione Donne e Economia di Valencia (Spagna, Italia, Grecia, Turchia, Tunisia, Egitto), i 3 europei evidenziano un indice HDI basato sulla lunghezza e qualità della aspettativa di vita, sullo standard economico e sul grado di istruzione pari a 0,86-0,87, poco distante dal massimo rinvenuto nel mondo ( 0,94 in Norvegia), mentre lo stesso indice HDI raggiunge, negli altri 3 Stati, livelli rispettivamente di 0,74, 0,71, 0,68, considerati perciò a sviluppo umano medio-alto. Pertanto anche nel Gender Inequality Index (GII), utilizzato coerentemente dalle Nazioni Unite con riguardo alle disparità fra uomo e donna, l’Italia è all’ 8° posto, la Spagna al 16°, la Grecia al 27°, mentre la Tunisia si trova nella 48ª posizione, la Turchia nella 69ª, l’Egitto nella 130ª, su un totale di 187 Paesi analizzati. Che le donne del Mediterraneo trovino, tuttavia, da molto tempo più aspetti di comune interesse che di divergenza è mostrato dal fatto che fin dal 1992 esiste una ONG chiamata Les Femmes de la Méditerranée, nata proprio a Valencia con lo scopo di evidenziarlo: io stessa ho rappresentato tale ONG, in sostituzione della Presidente Tullia Carettoni, al grande consesso di Pechino del 1995 per l’Anno Internazionale della Donna, proclamato dall’ONU.
Sul piano economico, l’aspirazione di tutte le donne più consapevoli del Mediterraneo è di rendere la parità fra i generi operativa ed effettiva. L’eguaglianza di retribuzione per eguale lavoro, cui recentemente siamo stati richiamati dallo stesso Papa Francesco («Avvenire», 29 aprile 2015), anche laddove è garantita dalla Costituzione, come avviene in Italia, o è da quasi 60 anni imposta dalle norme dei Trattati, come è il caso nell’Unione Europea a 28, e a fortiori altrove nella sponda Sud del Mare Nostrum, è di fatto elusa, se non addirittura evasa per varie ragioni,dappertutto. Provo a elencarne le principali motivazioni.
Le leggi sulla parità retributiva riguardano di fatto esclusivamente il compenso per ora lavorata dai dipendenti: così circoscritta, la differenza salariale fra uomo e donna, misurata in termini percentuali rispetto al salario maschile è per esempio in Italia solo del 5,2% mentre sale al 6,6% in Grecia, al 16,7% in Spagna e scende al 3,9% in Turchia, mantenendosi tipicamente più contenuta, quanto minore è il salario orario medio. Ma il differenziale retributivo per genere dipende molto di più dalle disomogeneità nel numero di ore lavorate dai dipendenti maschi rispetto alle colleghe femmine (forti soprattutto in presenza di figli) e dalla assai inferiore quota di occupati sulla popolazione in età attiva femminile rispetto a quella maschile: così ricalcolato (Gender Statistics, Eurostat 2015), esso tocca, al lordo delle imposte, il 38,1% in Spagna, il 43,5% in Italia, il 44,7% in Grecia (percentuali tutte al di sopra della media riscontrata nell’Unione Europea, pari al 37,1%), e arriva al 63,1% in Turchia. L’eguaglianza dei guadagni per genere è altrettanto disattesa fra i lavoratori autonomi e fra i percettori di reddito da capitale, dove però il differenziale fra il tasso di occupazione maschile e femminile sta forse diminuendo, diversamente da quello concernente i dipendenti: l’indice Gender-GEDI (Gender Global Entrepreneurship and Development Index, 2015), volto a identificare e comparare gli elementi che favoriscono il potenziale imprenditoriale delle donne nei vari contesti sociali, vede per esempio la Spagna al 9° posto, la Turchia al 18°-19°, l’Egitto al 27-28° posto, su 30 Paesi esaminati. Più in generale, il Gender Gap, usato dal World Economic Forum (2014) nell’esame della differenza complessiva di partecipazione e di opportunità economiche offerte a uomini e donne nel mondo, registra la 84ª posizione della Spagna, la 87ª della Grecia, la 114ª dell’Italia, la 130ª,131ª e 132ª rispettivamente della Tunisia, dell’Egitto, della Turchia, su un totale di 142 Stati. Infine, bisogna notare che la parità retributiva per genere è stabilita dalle norme a parità di lavoro. Ma normalmente il lavoro non è affatto pari, a causa della segregazione orizzontale e verticale delle mansioni femminili rispetto alle maschili, come ben documentato dall’ ILO, 2012: quelle tipicamente assegnate alle donne comportano uno status sociale ed economico meno soddisfacente (sebbene siano egualmente e forse più importanti da vari punti di vista – si pensi per esempio all’insegnamento mal retribuito rispetto alle attività “maschili”, altamente redditizie, nel credito e nella finanza); a ciò si deve aggiungere il molto citato soffitto di cristallo, che impedisce eguali progressi di carriera perfino nei settori, come la PA, dove l’eguaglianza retributiva per eguale lavoro è più rispettata.
È del tutto evidente, allora, che le due rive del Mediterraneo affrontano problemi qualitativamente simili, anche se quantitativamente diversificati nell’elusione e nell’evasione della parità retributiva per genere . E questo, da un lato, di per sé ci avvicina, dall’altro implica anche che è necessario lottare in modo coordinato non soltanto per una maggiore giustizia ed equità sociale a favore delle donne, bensì anche per favorire lo sviluppo e moltiplicare il benessere di tutti nei nostri Paesi, in quanto l’universo femminile oggi, scarsamente o mal occupato, costituisce un serbatoio a produttività media più elevata di quella maschile. Infatti, partendo dall’ipotesi che la distribuzione del talenti sia la stessa fra la popolazione maschile e femminile, ordinando tanto l’una che l’altra in termini decrescenti per livello di produttività, appare evidente che il 51° uomo è meno efficiente della 49ª donna, raggiungendosi il massimo potenziale solo con una divisione identica (fifty-fifty) dei posti di lavoro. I Paesi del Mediterraneo, favorendo finora gli uomini a danno di tutti, ne sono molto lontani. Le donne, con le loro battaglie, possono contribuire al futuro bene delle intere loro società civili.
Pubblicato il 10 Maggio 2015