Sull’Italicum se ne dicono tante. Per qualcuno sarebbe addirittura il cavallo di Troia per introdurre in Italia il presidenzialismo. Naturalmente si tratta di una sciocchezza. Ma anche le sciocchezze trovano credito in questi tempi di confusione dilagante e alimentata ad arte. Venendo al punto. Il presidenzialismo è un modello di governo caratterizzato, nel quadro di una rigida separazione dei poteri, da un esecutivo affidato a un presidente della Repubblica che è espresso direttamente dal corpo elettorale e che non è soggetto a un rapporto di fiducia con il Parlamento.
Che cosa ha a che fare l’Italicum con un modello del genere ? Nulla. Quanto alla riforma costituzionale, dove sono le norme che cancellano la figura del capo del governo fondendola con quella del presidente della Repubblica? Domanda retorica. A riforma costituzionale approvata continueranno a esserci un capo del governo e un capo dello Stato. Tutti e due con gli stessi poteri che hanno adesso. La differenza più importante è che il capo dello Stato non sarà più eletto con la maggioranza assoluta, come avviene ora, ma con una super-maggioranza pari al 60% dei votanti. E il capo del governo dovrà avere la fiducia della Camera dei deputati (ma non del Senato). Insomma, il nostro modello di governo, anche dopo l’approvazione delle riforme in gestazione, continuerà ad essere di tipo parlamentare. Punto.
Premesso ciò sul piano giuridico, occorre però fare i conti anche con la dimensione politica dei cambiamenti in corso. Infatti, l’introduzione di un sistema maggioritario forte come l’Italicum non resterà senza conseguenze sul piano del funzionamento delle istituzioni. L’elemento centrale del nuovo sistema è il ballottaggio, che ne sarà la modalità di funzionamento normale. Solo in casi eccezionali ci sarà un partito o una lista che riusciranno a vincere le elezioni al primo turno raccogliendo il 40% dei voti. Sarà invece molto più frequente il caso in cui le due liste più votate al primo turno si sfideranno al ballottaggio. Questa sfida a livello nazionale mette nelle mani degli elettori l’enorme potere di scegliere “direttamente” chi li governa. Capo del governo e maggioranza parlamentare saranno decisi da noi al momento del voto, e non dai partiti dopo il voto. E sarà una scelta chiara, ben visibile, senza alibi né per gli elettori né per i partiti. Questa è l’essenza dell’Italicum.
Tutto ciò è assolutamente banale. Va da sé che se la scelta di fronte agli elettori è tra due leader e due partiti, sarà il leader del partito vincente a diventare capo del governo. Certo, la nomina spetterà sempre al presidente della Repubblica. Ma sarà una nomina “obbligata”. Dunque, è vero: il meccanismo previsto dall’Italicum introduce l’elezione “diretta” del capo del governo. Anche se formalmente la scelta degli elettori non si configura come tale, sostanzialmente lo è. E in politica la sostanza conta quanto la forma. Se non di più. Ecco perché un sistema elettorale potente come l’Italicum influirà non solo sulla dinamica della competizione politica e sul formato del sistema partitico, ma anche sul funzionamento concreto delle istituzioni della Repubblica, in particolare Parlamento e Presidenza.
Elezione “diretta” sì , ma con le virgolette, che in questo caso sono molto importanti. L’Italicum infatti verrà introdotto all’interno di un modello di governo che, come già detto, resta parlamentare. Questa è la differenza fondamentale con quanto è successo a livello di comuni e regioni. In questi ambiti le riforme degli anni Novanta hanno introdotto l’elezione diretta- senza virgolette- di sindaci e presidenti di regione, con maggioranza consiliare garantita. Quelle riforme non solo hanno cambiato il sistema elettorale ma anche il modello di governo. Per dare soluzione al problema della patologica instabilità dei governi locali hanno introdotto, insieme all’elezione diretta, anche quel particolare meccanismo per cui sindaci e presidenti possono essere sfiduciati, ma la sfiducia comporta automaticamente lo scioglimento dei consigli e nuove elezioni. È un modello rigido che però funziona. A livello nazionale invece il modello è flessibile. Con le riforme in gestazione infatti il capo del governo eletto “direttamente” dagli elettori potrà essere sfiduciato dalla Camera senza che questa si sciolga. Esattamente come ora. In altre parole, pur introducendo un sistema maggioritario forte come l’Italicum, resta la flessibilità del modello di governo parlamentare.
Il tempo dirà se con questa formula meno rigida si riusciranno a stabilizzare i governi nazionali. Per ora limitiamoci a dire che il partito che ha vinto le elezioni, grazie al premio o al ballottaggio, potrà sostituire il presidente del consiglio scelto dagli elettori. Dovrà giustificarlo e soprattutto ne risponderà al momento del voto. Ma lo potrà fare. Più complicata da gestire sarà la situazione in cui venga meno la stessa maggioranza di governo – per una scissione, per esempio – e sia disponibile una maggioranza alternativa diversa da quella che ha vinto le elezioni. Insomma la flessibilità è una bella cosa ma andrà gestita con grande equilibrio tenendo conto sia delle norme costituzionali che del sentire comune. In questo il ruolo del presidente della Repubblica sarà cruciale.
Nulla di nuovo sotto il sole. È da più di venti anni che siamo in questa situazione. A partire da Scalfaro alla fine del 1994 in occasione della crisi del primo governo Berlusconi per arrivare a Napolitano ai tempi della crisi dell’ultimo governo del cavaliere, tutti i presidenti della Repubblica si sono trovati a gestire il dilemma se favorire la formazione di un nuovo governo o ridar voce agli elettori. E così sarà anche dopo l’approvazione definitiva della nuova riforma elettorale. È la democrazia maggioritaria. Tutto qui. Ci abitueremo.
Pubblicato il 26 Aprile 2015