Oggi, alle 12.00, a cura della Fondazione Fossoli, presso il Museo Monumento al Deportato politico e razziale di Carpi si svolgerà “Perché siano fatte nostre. Lettere di condannati a morte della Resistenza europea ‘adottate’ dagli esponenti della cultura e della società italiana”.
Io ho scelto la lettera di Jovanka, graffita alla parete della Sala 4 del Museo.
“Cara mamma e tutti voi, stanotte sono venuti per portarci alla fucilazione. Ne hanno chiamate 12, tra cui anche la nostra Srpce. Immaginavano che dopo di lei avrebbero chiamato anche me, così mi sono preparata. Invece quello ha smesso e ha detto alle chiamate di uscire. Quel momento, per me è stato terribile. Lei si è vestita e ha detto “Salve”. Ci siamo baciate in fretta. E’ andata con aria fiera, la testa eretta, come fa sempre quando cammina, la mia sorellina…“, (Jovanka, Jugoslavia).
Ecco come “l’ho fatta mia”:
«Ho una frequentazione assidua, con il Museo Monumento. Eppure, le ripetute visite non attutiscono la forza emotiva, a tratti violenta, che in me scatenano le frasi dei condannati a morte. Ciascuna è una gemma preziosa. Ci sono quelle che apodittiche. Quelle esemplari. Quelle altruistiche. Quelle profetiche. Ciascuna speciale a modo proprio. Io, però, “cado” sempre sulla lettera di Jovanka. Potrei leggerla all’infinito, ma l’effetto sarebbe sempre il nodo che preme in gola fino a far male e il cuore che batte più veloce. Perché Jovanka – di cui non conosciamo la sorte – racconta della condanna a morte della sua “sorellina”. È una storia femminile. In poche righe sono narrati l’orrore della violenza, la forza di un legame familiare, la fierezza per avere compiuto la scelta giusta anche a costo della vita, la compassione di chi resta. Senza retorica, con il linguaggio della normalità.
Le parole lasciate ai posteri sulla soglia di una morte ingiusta, sono come una nottola di Minerva nell’esercizio della memoria di quanto è accaduto, perché ci permettono di connettere cuore e cervello, sentimento e ragione, ricerca e ricordi. Non possiamo infatti pensare che il solo studio dei fatti e degli eventi accaduti faccia crescere in noi gli anticorpi che ci impediscano di compiere le scelte sbagliate e ostacolino il ripetersi di tragedie immani come l’affermazione di dittature spietate o lo sterminio degli ebrei e degli oppositori al regime. Occorre animare quei fatti e quegli eventi richiamando in vita le storie, semplici e quotidiane, dei protagonisti. Di Jovanka e della sua sorellina Srpce. Dobbiamo ripersonificare quelle vicende, restituendo voce a chi l’ha perduta perché si è opposto alla violenza, perché ha scelto la giustizia e la libertà, perché ha difeso la dignità umana.
Ecco perché le lettere graffite del Museo Monumento, insieme alla sala dei Nomi, sono così importanti per aiutarci, noi che quell’epoca non l’abbiamo vissuta, a comprendere come sia stato possibile che tutto questo sia accaduto e ancor di più come sia stato poi possibile riscattarsi dal regime di terrore, dal conformismo e dalla negazione della libertà.
Ed ecco perché credo che questo Museo Monumento – così come il campo Fossoli e gli altri luoghi simbolici della Memoria – debba ricevere anche il sostegno dello Stato. Non ci siamo ancora riusciti. Ma non demordiamo. Perché sulle pareti di questo Museo è incisa una grande e straordinaria lezione morale. Patrimonio dell’intero Paese e dell’umanità.»