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“Prima viene il paziente”, di Gilberto Corbellini – Il Sole 24 Ore 19.04.15

Alberto Malliani, notissimo e influente medico-intellettuale milanese scomparso nel 2006, coltivava una visione politica della medicina. Che non era l’idea di una medicina piegata alla politica, molto in voga nell’era cosiddetta post-moderna, e che spesso confonde politica ed economia – cioè descrive strumentalmente medici, medicina e sanità tenute al guinzaglio dalle multinazionali per emettere una condanna ideologica inappellabile per un presunto sistema complottistico scientifico-medico-affaristico-etc. Versione aggiornata delle paranoie populiste e fasciste per il complotto demo-giudo-pluto-etc.
Malliani non risparmiò negli ultimi anni dure critiche alle pressioni indebite esercitate dall’industria farmaceutica sul sistema medico di valutazione dell’utilità dei trattamenti, così come criticò l’aggressività e l’aziendalizzazione della ricerca medica. Riconosceva però il ruolo essenziale dell’industria nel processo sociale di produzione della salute. La lezione che ha lasciato, anche attraverso l’esempio, dimostra che per evitare le derive potenzialmente dannose di una domanda di salute fuori controllo, occorre investire in una formazione culturalmente più articolata del medico. Per farne non uno strumento politico-governativo di controllo dei comportamenti individuali o delle strategie di consumo del bene salute, ma un catalizzatore di consapevolezza critica per la sfera in continua espansione di possibili scelte in materia di salute, che le persone e i pazienti possono praticare esercitando l’autodeterminazione. La Carta della professione medica, che concorse a redigere e che fu pubblicata nel 2002, andava in questa direzione.
L’idea di medicina politica che si coglie negli scritti del grande internista ha una tradizione nobilissima, che merita di essere richiamata brevemente perché non ha esaurito, diversamente dalle ideologie, la sua spinta propulsiva. La si può raccontare in quattro movimenti. Facendola iniziare con l’età moderna, quindi lasciando una volta tanto in pace Ippocrate, quasi esattamente quattro secoli fa. Nel 1614 il medico ebreo sefardita Rodrigo De Castro pubblicava ad Amburgo il testo Medicus-politicus, che segna le origini della moderna etica medica con una ispirazione specifica nel richiamare l’attenzione pubblica verso la coincidenza tra virtù morali del medico e astensione dall’inganno o da pratiche fraudolente ai danni dei malati. Circa un secolo dopo, nel 1738, il medico tedesco pietista Friedrich Hoffmann, pubblicava a sua volta testo sempre intitolato Medicus politicus, nel quale sosteneva che la fiducia e l’affidabilità che caratterizzano il rapporto medico paziente si fonda sulla partecipazione emotiva del medico per la condizione del malato e la competenza professionale. Un terzo passaggio fondamentale ebbe luogo nel 1848, quando Rudoph Virchow, fondatore della patologia cellulare, definiva la medicina una «scienza sociale, e la politica niente altro che medicina su larga scala»: per Virchow la rinnovata forza politica della medicina si fondava sull’epistemologia sperimentale del metodo fisiopatopologico attraverso cui si potevano scoprire le cause immediate della malattie, quindi trovare sistemi di prevenzione e trattamenti per risolvere i problemi sanitari. All’indomani della Seconda guerra mondiale, sulla spinta dei successi realizzati sul piano scientifico e clinico, i metodi della sperimentazione medica diventavano norme politicamente e legalmente riconosciute nei paesi liberaldemocratici, per garantire la sicurezza e l’efficacia dei trattamenti. Insomma, la medicina ha storicamente portato la razionalità nella politica, consentendo di fondare l’etica sulla scienza. Non è poco.
Negli ultimi cinquant’anni le sfide della medicina si sono giocate su più fronti e hanno richiesto al medico quello che Malliani chiama “pensiero verticale”. Cioè una strategia epistemologica necessaria in quanto il paziente è fatto di molecole, cellule, tessuti, organi, etc. e legami sociali. Si deve essere pronti ad andare in su e in giù nel ragionamento causale a seconda delle indicazioni che vengono da prove, non da bias cognitivi o ideologici, contestualizzate sulla base dell’esperienza. «Il fatto e? – scrive Malliani – che il pensare verticalmente e? una delle operazioni che più richiedono metodo e consapevolezza: quindi una lunga abitudine. Ed è qui che appaiono ancora piu? chiare le manchevolezze della scuola che poi altro non sono che il riflesso delle manchevolezze della cultura dominante». C’è poco da aggiungere. Ma ai burocrati o politici italiani che progettano le riforme scolastiche poco interessa sapere quali sono le manchevolezze in chi arriva all’università impreparato.
Malliani era un clinico-ricercatore a trecentosessanta gradi. Sapeva cosa è e come funziona la scienza. Cosa che qualche medico infatuato dal potere o dai soldi, o solo ignorante, talvolta dimentica. «Un vero ricercatore – scrive – puo? cambiare idea su tutto (come ogni altro essere umano) ma non sul metodo. È questo uno dei pochi campi di totale fedeltà». Senza dimenticare che la ricerca di Malliani era guidata da un’idea teorica forte, quella di “malattia innervata” che lo portò a pubblicate importanti risultati sperimentali sul controllo nervoso della circolazione. Ergo farebbero meglio i medici, se prendono sul serio il loro lavoro, a smetterla di flirtare con le medicine complementari (omeopatia, medicine naturali, etc.) e altre forme di ciarlataneria, prive di metodo e teoria, per inseguire convenienze, ma imbrogliando così i pazienti.
Stante la sua idea della medicina come autentica dimensione politica, Malliani visse intensamente l’impegno civile, per esempio parlando e agendo contro l’uso della guerra per la soluzione delle controversie politiche. Negli ultimi anni insisteva su due fondamentali questioni. Da un lato la «mancanza di veri progetti che solchino il tempo», cioè che «quanto facciamo ha poco a che fare con una sapiente costruzione del futuro». E poi il tema della morte, cioè della gestione della fasi terminali della vita. Due questioni non così lontane tra loro. Aiutò la nascita di VIDAS, che offre assistenza gratuita ai malati terminali, e stigmatizzò il fatto che agli studenti di medicina si parla poco della morte o che le discussioni sull’eutanasia siano stucchevolmente moralistiche e ideologiche. «Morire bene – scriveva – è il più grande messaggio di vita che una persona può lasciare».

Alberto Malliani, Medico sempre. Lezioni di buona sanità . A cura di Nicola Montano e Giangiacomo Sciavi. Guerini e Associati – Università degli studi di Milano, Milano, pagg. 174, € 16,50

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