Questa storia inizia nel 2001 con una diagnosi di tumore al seno. A raccontarcela è l’onorevole Manuela Ghizzoni. Una donna che, come tante, ha lottato contro la malattia e, con coraggio e consapevolezza, ha poi deciso di intervenire radicalmente, sottoponendosi dapprima a un intervento di asportazione dell’utero e delle ovaie e, successivamente, a una mastectomia.
“Avevo solo 39 anni quando, durante un’autopalpazione mi sono resa conto che qualcosa non andava. Solo quattro mesi prima, l’esame al quale mi ero sottoposta non aveva rilevato nulla di anomalo… Nel maggio del 2001 ho intrapreso la consueta procedura: intervento chirurgico, chemioterapia, radioterapia. Dal momento che mia madre e mia zia erano entrambe ammalate di cancro al seno, il dottor Fabrizio Artioli mi disse che una volta terminato il ciclo di cura avrei dovuto eseguire un test genetico. Risultai positiva al gene Brca1 e Brca2. La dottoressa Cortesi dell’Ambulatorio onco – genetico mi mise di fronte a un ventaglio di possibilità: un’intensificazione dei controlli al seno e alle ovaie oppure tra le opzioni (che peraltro rappresentano la prassi nei paesi scandinavi) mi paventò gli interventi di profilassi, mastectomia e asportazione di tube e ovaie”. Di fronte a questo scenario Manuela si prende del tempo. Per riflettere. A lungo.
“L’effettuazione costante di controlli peggiorava sensibilmente la qualità della mia vita: entravo in un perenne stato di ansia e, di conseguenza, ho pensato di rimuovere direttamente la causa. Non sono una donna che prende decisioni affrettate e, solo un anno dopo, nel 2003, ho deciso di procedere col primo intervento, quello che mi spaventava maggiormente, di asportazione di utero, tube e ovaie. Ormai avevo 42 anni: non ero diventata madre prima, non lo sarei diventata nemmeno dopo”. Manuela è lucida e serena: “la riduzione dell’insorgenza del cancro non è garantita al cento per cento nemmeno attraverso questi interventi drastici ma, di certo, si abbatte moltissimo la possibilità di ammalarsi nuovamente. Sono consapevole che le statistiche siano alquanto aleatorie ma, la mia, è stata una decisione presa con serenità. Condivisa col compagno che, in seguito, divenne anche mio marito. Questo intervento mi ha tranquillizzata ma non mi stancherò mai di ripetere che queste sono scelte radicali che non devono essere compiute sulla spinta emotiva”.
Sono poche le donne che decidono di uscire allo scoperto, di raccontare storie dolorose come queste, “anche se il numero cresce, probabilmente perché oggi è mutato l’atteggiamento dei medici, dapprima molto cauti nel consigliare questo tipo di opzione. Da Cortesi e Artioli io ho avuto tutte le informazioni di cui avevo bisogno, ho sciolto tutti i miei dubbi e mi sono sentita libera di scegliere. Grazie a loro ho acquisito quella libertà che solo la consapevolezza e la conoscenza ti possono dare. Ma sono stati numerosi i dottori incontrati nel mio percorso che hanno tentato di ricoprire il ruolo di padre o madre nel tentativo di dissuadermi”. Nel 2007, la madre di Manuela muore di tumore all’utero: “fu allora che decisi di intervenire sul seno in via definitiva. Io avevo già subito una quadrantectomia e, a differenza di Angelina Jolie che non si è mai ammalata e, di conseguenza, non ha mai fatto una terapia radiante, nel mio caso il chirurgo doveva operare un seno che aveva subito radiazioni. Esisteva un 50% di possibilità che il seno necrotizzasse. Dopo varie visite e consulti mi sono affidata alla dottoressa Lazzaretti di Carpi. L’esito finale è molto buono nel seno non trattato mentre nell’altro… beh, insomma, non è il massimo ma, almeno, non ho avuto necrosi”. Manuela ha incontrato altre donne. Ha raccontato loro cosa le è accaduto, mostrando come il suo corpo sia cambiato. Senza remore.
“Io ho imboccato una strada con coscienza e consapevolezza. So cosa potrebbe accadere ma non ci posso pensare ogni minuto, altrimenti la mia vita sarebbe finita nel 2001 e io sarei morta allora. Ora sto bene e mi auguro che queste scelte mi possano ripagare in termini di durata della vita. Ricordiamoci però che questa profilassi è adatta a un piccolissimo gruppo di donne e non è adatta a chi ha una familiarità o la possibilità, come tutti, di ammalarsi. Non vorrei che dopo l’outing di Angelina Jolie partisse una spinta alla mutilazione inconsapevole: i medici sono un punto di snodo fondamentale, devono essere rassicuranti, spiegare ogni alternativa praticabile, lasciando così alle donne la possibilità di imboccare la strada migliore per il loro benessere psicologico e fisico”.
“Io sono stata molto fortunata: mi sono sposata, ho fatto scelte di vita importanti… ci sono donne che, al contrario, di fronte a una diagnosi di cancro, vedono dissolvere la propria famiglia. Per loro nutro davvero grande pietà perché penso non vi sia nulla di peggio che ammalarsi e, al contempo, essere abbandonate dal compagno. Io sono stata certamente fortunata”.
Pubblicato il 2 Aprile 2015