Si chiama Il pianeta nel piatto (Mondadori) ed è l’ultimo libro di Anna Sarfatti, scritto in collaborazione con il fratello Paolo. Un libro intelligente e scherzoso, dove si parla di alimentazione e di diritto al cibo attraverso racconti che hanno come protagonisti i bambini del mondo. C’è Ramatou, Pilù, Untina Eletta, Elìa, Catunta, nonno Amaro, Terra Madre, Chindhanai. Ci sono il tè delle farfalle, il sale del mare, i campi di patate, il miglio… E ci sono le storie di villaggi lontani, che parlano di ragazzini che lavorano giorno e notte per aiutare le famiglie, di quaderni che mancano, di richieste di mezzi per raggiungere la scuola, di computer che aiutino a studiare. Poi ci sono le schede, quelle serie, che aiutano a capire come si vive nel mondo e cosa si può fare per salvare il pianeta dagli sprechi. E le illustrazioni di Serena Riglietti, dove i tessuti disegnati degli abiti dei bambini sono gli stessi usati in India o Niger. Il libro sarà presentato alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna, insieme a Tutti a scuola” e Diversi in versi”, firmati dalla Sarfatti per Giunti editore.
Signora Sarfatti, come le è venuta l’idea di parlare di diritto all’alimentazione in maniera così semplice e diretta?
«Dall’esperienza che ho fatto negli anni su questo tipo di testi. Prima ho affrontato il tema della Shoah, ora quello del nutrimento. Io e mio fratello, che si occupa di ecosostenibilità, volevamo trasmettere i quattro pilastri della sicurezza alimentare sanciti dalla Fao: disponilità, accesso, utilizzazione, stabilità. Lo abbiamo fatto con quattro storie, cercando di privilegiare la qualità del racconto e dei temi affrontati».
Quanto è importante educare i bambini alla lettura di tematiche anche così difficili?
«Importantissimo. Perché se affronti questi temi su un piano teorico, i ragazzini condividono, capiscono, ma non riescono a interiorizzare. Invece con questo libro abbiamo fatto l’operazione inversa. I bambini leggono le storie di altri ragazzini indiani, africani, cinesi… entrano nei loro panni e si chiedono perché quella bambina non va a scuola e lavora tutto il giorno? Come è diversa la sua vita rispetto alla nostra? Cioè riflettono, si confrontano. Partire dal basso è l’unico modo per affrontare i problemi».
Il suo libro potrebbe benissimo essere letto nelle scuole primarie.
«Me lo auguro. In fondo lo abbiamo scritto per questo. Ma non è un testo da leggere e mettere via. Va usato un poco alla volta».
E i mini-lettori possono farcela?
«Tutti noi siamo piccoli e adulti. E come a un adulto riesce difficile giocare con la sua parte bambina, ai bambini risulta difficile giocare con la loro parte adulta. Ma dalla mia esperienza di insegnante e scrittrice, le assicuro che quando qualcuno si avvicina ai giovani per proporgli cose difficili ma con un linguaggio accessibile, loro sono pronti».
Ci vorrà pur qualcuno che li indirizza alla lettura.
«Gli insegnanti, quelli che hanno a cuore la loro crescita intellettiva. Se vengono abbandonati a loro stessi, scelgono quello che il mercato dei media sceglie per loro: repliche televisive, film scarsi, contenuti poveri. È questa la grande sfida: aiutarli a scegliere, da persone indipendenti».
E la scuola è il perno.
«La scuola, la biblioteca, le librerie e la famiglia il cui contributo è fondamentale: un genitore che legge e parla di libri rappresenta lo stimolo forse più convincente!».
Lei da scrittrice come vede il rapporto dei giovani di oggi con le tecnologie?
«Sono sempre stata dell’idea che la realtà e il progresso non debbano essere demonizzati. Certo, ci vogliono adulti capaci di accompagnarli in questo percorso di crescita e transizione, fin quando non riescono a camminare da soli. A scegliere, appunto».
Meglio usare computer e tablet o un bel libro di carta?
«Ambedue, purché, ripeto, ci sia un adulto in grado di guidare i ragazzi a non cadere nelle strumentalizzazioni. Anche WhatsApp può essere utile se favorisce lo scambio di immagini. In fondo viviamo in una società che si basa sulle immagini e non possiamo ignorarla. Vivremmo fuori dal mondo».