«Come si diventa scienziato?» La risposta potrebbe sembrare disarmante: non si smette mai di diventarlo. Continue, le domande su come scegliere per il futuro, tanti i cuori colmi di speranza: «Io vorrei studiare per capire l’Alzheimer, mia mamma ce l’ha da tempo ma mi interessa ancora di più aiutare gli altri». Tanta la fantasia: «Magari posso con un microrobot entrare nelle cellule e aggiustare quel gene impazzito».
Queste sono solo alcune delle voci dei ragazzi dell’Unistem Day 2015 del 13 marzo scorso, 20.000 studenti delle scuole superiori che sono stati accolti dai 46 atenei italiani e stranieri partecipanti, per parlare e ascoltare di scienza e rendersi conto che non è vero che farlo è difficile o noioso. Questi giovani hanno discusso di staminali insieme agli scienziati e del perché sembrano, a chi le studia, ogni giorno così affascinanti, e di come può funzionare la medicina rigenerativa, di quello che è stato fatto davvero e di cosa si sta facendo oggi. Ma le staminali sono solo un pretesto (non di minore conto) per raccontare il mestiere dello scienziato, la passione per l’esplorazione e la scoperta. Quando si parla di scienza si parla di un metodo, di un approccio analitico ai problemi, che dovrebbe costituire il naturale fondamento di ogni successivo apprendimento, una preliminare formazione all’uso della ragione. La risposta che arriva dai volti dei ragazzi, dal loro coinvolgimento, da quel silenzio attento e educato, è ogni volta un grande incoraggiamento. All’inizio, durante il collegamento tra più sedi, i colleghi svedesi dell’Università di Lund hanno salutato gli studenti raccolti all’Università di Caso, gliari con alcune frasi in dialetto sardo. Come dire: nessun mare o montagna ci divide. Solo idee, metodi, risultati e la fitta rete di meccanismi per ancorare i propri argomenti ai fatti.
Il tema di quest’anno era “Scienza e diritto”: in tutta Italia si è discusso delle ragioni per cui giudici e scienziati possono arrivare a conclusioni diverse, come nel caso delle prescrizioni degli pseudo-trattamenti Stamina. Ovunque, in Italia, il monito della giornata era lo stesso: l’inconciliabilità tra scienza e pseudoscienza, l’esortazione a stare sempre dalla parte delle prove e dei fatti, non delle convenienze. Sempre, e soprattutto in materia di salute.
Il fatto che la giornata non tratti solo di staminali è molto apprezzato dagli studenti. Gioele, che ha partecipato alle conferenze organizzate alla Sapienza di Roma, era felice che l’argomento principale fossero la scienza e il progresso umano, cioè «come le cose sono migliorate, per esempio nel modo in cui si pratica la medicina». Gli fa eco un altro diciassettenne presente all’evento dell’Università di Firenze: «Abbiamo capito che ci vuole tanta fantasia e creatività per fare ricerca, ma anche la capacità di produrre ipotesi verificabili». E, sempre a Firenze, i diplomandi si dicevano «colpiti dalla chiarezza e onestà con cui i ricercatori hanno presentato fatti e dati difficili ». Gli alunni del Liceo Scientifico Lavinia Mondin di Verona hanno riempito i loro insegnanti (e noi) di commenti. Alcuni riflettevano sul fatto che «la ricerca è frutto di dedizione, passione, curiosità, e che per conoscere si deve avere il coraggio di osare». Valeria si è sentita «immersa nel mondo vero della ricerca». Molto più capaci degli adulti di smascherare il fal- si stupiscono, come nel caso di Lorenzo, di «quante persone nell’era dell’informazione, scelgono l’ignoranza».
L’edizione di quest’anno si è rivelata anche un’occasione per supplire a una delle mancanze della riforma della scuola in discussione, tutta concentrata sull’assunzione dei precari e i poteri dei presidi, mentre nessuno si è preoccupato di spiegare in che modo il piano del governo fornirà agli studenti gli strumenti conoscitivi necessari per essere competitivi e innovare in una società ed economia fondata sulla conoscenza. In più sedi d’Italia, gli insegnanti che hanno accompagnato gli studenti agli incontri hanno evidenziato la «disattenzione della politica per quanto riguarda la formazione dei giovani sul fronte delle conoscenze scientifiche ». Hanno mille ragioni.
L’evento in Statale a Milano si è chiuso con l’intervento di un medico, Salvo di Grazia, il primo ad avere fatto della sfida ai «narratori di bufale» un motivo d’impegno costante. Racconta ai giovani le “bufale” che abbindolano gli adulti. Anche di come a quel «congresso scientifico in Cina», tutt’altro che serio, che qualche mese fa avrebbe rilanciato il cosiddetto «metodo di Bella» (notizia ripresa da alcuni media), egli sia riuscito a piazzare come comunicazione scientifica una ricetta americana per la pasta alla carbonara con tanto di titolo (in inglese), “Il metodo sbudella a base di carbonara cura il buco allo stomaco” e autori, dott. Massimo della Serietà ecc., guadagnandosi persino l’invito a fare da moderatore per la sua “scoperta”.
Il messaggio più forte veniva dalle risate dei ragazzi, increduli davanti a bufale così incredibili, a come si possano montare (false) correlazioni tra autismo e vaccini, con tanto di studi legali o tribunali impegnati per provare ciò che la sperimentazione medica non ha mai trovato, o a come, applicando lo stesso (non) metodo, sia possibile mettere in grafico e stabilire una correlazione tra i nati in un certo paese e la migrazione delle cicogne per affermare che — nuova scoperta! — “i bambini li portano le cicogne”.
Quei giovani ridevano, ma hanno mostrato un’attenzione più che rincuorante, soprattutto promettente. Ora quei ragazzi sono sparsi per l’Italia. Il nostro auspicio è che la giornata UniStem sia servita a vaccinarli ancora di più. Contro ciò che non è vero e dimostrato e che, ogni giorno, minaccia la loro vita e il loro Paese.
( Elena Cattaneo, senatrice a vita, insegna all’Università degli Studi di Milano. La giornata con gli studenti è coordinata da Uni-Stem, Centro di ricerca sulle cellule staminali)
La gaia scienza
Massimiliano Bucchi
Un diffuso stereotipo descrive gli italiani come disinformati, scarsamente interessati e perfino pregiudizialmente ostili alla scienza. È davvero così?
A giudicare dai dati più recenti dell’Osservatorio Scienza Tecnologia e Società (da oltre dieci anni il più ampio e continuativo studio in questo ambito), si direbbe proprio di no. E se forse è eccessivo vedere nel 2014 un anno di svolta nell’interesse degli italiani per la scienza, non c’è dubbio che molti luoghi comuni debbano essere rivisti, soprattutto per quanto riguarda il pubblico giovanile.
Innanzitutto l’idea che gli italiani siano “analfabeti” sul piano scientifico e scarsamente interessati ai contenuti scientifici. Ciò che i dati rilevano è un livello di competenze in linea con le tendenze europee e in lieve crescita negli ultimi anni; una propensione rilevante e crescente ad informarsi di scienza e tecnologia. Negli ultimi cinque anni gli spettatori assidui di programmi televisivi dedicati a scienza e tecnologia sono aumentati di 20 punti; è cresciuta notevolmente anche la fruizione di contenuti scientifico- tecnologici su internet, soprattutto tra i più giovani (arrivando a coinvolgere, almeno occasionalmente, addirittura il 93% tra i 15-29enni). Tendenze confermate in questi anni dagli ascolti dei programmi dedicati alla scienza in prima serata, dalla notevole affluenza ai festival della scienza, dal grande successo di libri di divulgazione e di film e serie televisive che sempre più spesso hanno come protagonisti figure del mondo scientifico. Fiction che tra l’altro i ragazzi spesso citano anche come elemento di stimolo o motivazione per le proprie scelte formative.
Permangono, indubbiamente, alcune lacune e significative differenze tra le diverse fasce di popolazione, soprattutto in termini di età e livelli di istruzione. Solo il 5% dei giovani tra i 15 e 29 anni e il 2% dei laureati si colloca al livello più basso di alfabetismo scientifico. Tra gli studenti quindicenni quasi sei su dieci ritengono che le ore dedicate alle materie scientifiche abbiano accresciuto la propria curiosità e interesse e considerano queste materie di grande utilità anche per la propria vita quotidiana. La possibilità di “toccare con mano” la scienza attraverso esperimenti di laboratorio a scuola fa addirittura quadruplicare la propensione di ragazze e ragazzi verso studi scientifici universitari (tra chi non ha avuto questo tipo di opportunità, la propensione agli studi scientifici scende sotto il 7%).
I dati dell’Osservatorio registrano anche rilevante fiducia e significative aspettative da parte degli italiani nei confronti degli scienziati (sempre più spesso indicati come l’interlocutore più credibile quando emergono questioni legate a scienza e tecnologia, come nel caso del clima o di emergenze sanitarie, con un aumento di 11 punti percentuali negli ultimi anni) e dei risultati della ricerca. Aspettative, che come tra le nuove generazioni, anche tra gli adulti si concentrano però soprattutto sugli aspetti più pratici e concreti: dalla scienza ci si attendono in particolare nuove applicazioni tecnologiche ed opportunità terapeutiche o possibilità di migliorare il proprio “benessere” in senso lato.
È in questa chiave che possono essere lette anche le tendenze rilevate sulle questioni biomediche più attuali. Le trasformazioni degli orientamenti degli italiani su temi quali la fecondazione assistita o la ricerca su cellule staminali non sembrano il risultato di un’effettiva interiorizzazione culturale di contenuti e metodi scientifici. Tali orientamenti appaiono piuttosto definibili come aperture in senso sostanzialmente pragmatico — o, per certi versi, perfino opportunistico — verso quelle che sono percepite come opportunità offerte da scienza e tecnologia in ambito biomedico. Drammatiche vicende recenti ci hanno fatto toccare con mano, tra l’altro, quali pressioni e urgenza di soluzioni nel breve periodo possano associarsi a simili aspettative. Questi atteggiamenti vanno inoltre inquadrati — come confermano anche gli orientamenti su questioni come il “fine vita” o il testamento biologico — nell’ambito di una più profonda trasformazione delle concezioni di salute e di cura, in cui il controllo e la plasmazione del proprio corpo e del proprio benessere sono ricondotti in misura crescente entro il raggio delle scelte individuali.
Nel complesso, i dati ci dicono che il vero problema non è l’assenza di una cultura scientifica.
Il nodo critico resta la fragilità di una cultura della scienza e della tecnologia nella società : di una cultura che sappia discutere e valutare i diversi sviluppi e le diverse implicazioni, potenzialità e limiti della scienza e della tecnologia evitando le opposte scorciatoie della chiusura pregiudiziale e dell’aspettativa miracolistica. È in questa direzione che forse varrebbe la pena indirizzare discussioni e iniziative, anziché fermarsi alla consueta litania (mai “scientificamente” documentata) degli “italiani antiscientifici”.