«Nedjo il Macellaio» non gusta più i suoi aperitivi alla «sljivovica» nei bei caffè di Belgrado. Sta in galera, la giustizia serba l’ha catturato insieme con 7 dei suoi compagni di genocidio. L’ha fatto dopo 20 lunghissimi anni da quando loro — secondo l’accusa — premettero il grilletto, lanciarono le granate su prigionieri disarmati, e arrossarono i coltelli da scuoiatori di pelli: ma l’arresto è lo stesso una notizia. Perché Nedjo, cioè Nedeljko Milidragovic, e compagni, sono i primi, presunti responsabili materiali della strage di Srebenica in Bosnia, il peggior massacro delle storia europea dal 1945 in poi, sui quali la giustizia serba abbia messo le mani. E perché la stessa Serbia, da gennaio nel pieno delle trattative per il suo ingresso nell’Ue, può forse sciogliere con questo gesto una delle tante ombre addensatesi sul suo passato.Già il suo governo aveva arrestato il leader politico serbo-bosniaco Radovan Karadzic, nel 2008, e il comandante militare Ratko Mladic nel 2011, come mandanti del massacro, oggi processati dalla Corte penale internazionale dell’Aja. Ma «Nedjo» e i suoi sono altri fantasmi, che non predicarono soltanto, ma tuffarono direttamente le mani nel sangue.Il prossimo 3 luglio cade l’anniversario di ciò che fecero nel 1995: oltre 1000 uomini e ragazzi musulmani mitragliati e finiti a colpi di granata in un grande magazzino-deposito alle porte di Srebenica. Un ottavo del totale, cioè degli ottomila maschi di ogni età separati dalle loro famiglie, caricati su file di camion e portati a scavarsi da sé le loro fosse comuni. Quelli furono anche i giorni del disonore: quando i «caschi blu» olandesi, soldati incaricati dall’Onu di proteggere la popolazione civile, lasciarono che i musulmani disarmati rifugiatisi nella loro base fossero portati via come agnelli.È il passato, lontano. Ma pesa. Anche perché oggi, nei negoziati Serbia-Ue, alla voce «giustizia, libertà, diritti fondamentali», Bruxelles continua ad annotare: «notevoli sforzi necessari» .
Pubblicato il 19 Marzo 2015