Ormai è quasi fatta, la Guido Veneziani Editore si è aggiudicata quel che rimane (il marchio e poco più, certamente i debiti) della testata più iconica della sinistra italiana: «l’Unità». Era difficile immaginare che i resti dell’antico polo italiano del giornalismo rosa («Stop», «Intimità», «Vero», «Miracoli»…) potessero, con una offerta spericolata, tentare di rianimare il foglio fondato da Antonio Gramsci il 12 febbraio del 1924 e scomparso la scorsa estate dopo aver compiuto novant’anni.
Solo negli ultimi dieci anni della sua vita di giornale di partito, dal 2003 al 2012 (poi affiancato da «Europa», che diventa organo del Pd nel 2007 fino al 2012), «l’Unità» ha succhiato dalle tasche dei contribuenti circa 54 milioni di euro, per un esborso medio, a copia, di 100 euro (cifre pubbliche). Intanto, nello stesso periodo, cresce e prospera la Guido Veneziani Editore, erede dell’impero di Cino Del Duca (la presse du coeur), venduto nel 1994 a Quadratum e poi passato alla Gve nel 2007.
Dunque, il lungo viaggio iniziato dal garibaldino Giosuè Del Duca in occasione dell’ultima battaglia di Digione del 1871 (combattuta agli ordini dell’ “Eroe dei Due Mondi”) si conclude, quasi 150 anni dopo, col recupero de «l’Unità», vessillo di una rivoluzione solo sognata e mai realizzatasi nel nostro Paese.
Piccolo, anzi piccolissimo commerciante di provincia, Giosuè – nato a Montedinove, in provincia di Ascoli Piceno – pagherà amaramente le sue convinzioni garibaldine con continui rovesci finanziari. Cosicché Pacifico (detto Cino), il maggiore e il più intelligente dei suoi quattro figli, dovrà lasciare gli studi, per cominciare a lavorare a soli 13 anni. Cino, nato nel 1899, è però già uno straordinario imprenditore di se stesso: farà di tutto per mantenersi e aiutare la famiglia, girando le Marche come fattorino, piazzista di libri e soprattutto di romanzi popolari a dispense, fino a quando, compiuti i diciotto anni, non sarà costretto a partire per la Grande Guerra. Tornato decorato e assunto dalle Ferrovie, a causa della sua militanza socialista si guadagnerà un confino ad Agropoli (nel 1921) e un licenziamento – perché sovversivo – già nel 1923.
Si trasferirà quindi prima a Pavia e poi a Milano, dove dal ’24 al ’29 lavorerà per un altro editore, Lotario Vecchi, sempre vendendo dispense porta a porta, fino a quando nel 1929, coinvolgendo tutta la sua famiglia (un comportamento tipicamente marchigiano), creerà “La Moderna” (poi Casa Editrice Universo), con una tipografia di proprietà.
Il rivoluzionario, divenuto imprenditore e padroncino (ben quaranta operai), resterà comunque antifascista. Cino riesce a sfruttare un settore – quello dell’editoria rosa e per ragazzi – in cui è possibile realizzare profitti senza chinarsi platealmente a Mussolini. Del Duca non ha i soldi per pagare giornalisti e scrittori famosi, e quindi se li inventa: «Si offre la pubblicazione a Giovani Abilissimi Scrittori». Grazie a quest’annuncio, ne scoprirà moltissimi: giovani, e non solo scrittori, ma anche disegnatori e dirigenti.
La prima a rispondere all’appello è una donna, Luciana Peverelli, che lo accompagnerà per mezzo secolo in questa avventura, dirigendo le sue creature più importanti: «il Monello», rivista destinata ai ragazzi (titolo ispirato da Chaplin), «l’Intrepido» (prodotto per i più grandicelli) e, nel Secondo Dopoguerra, «Stop»,il vero padre del giornalismo gossip italiano.
All’inizio, però, la Peverelli esordisce con un libro a dispense, «Cuore Garibaldino», un romanzone chiaramente ispirato all’epopea di Giosuè Del Duca. Poi i veri colpi di genio, i primi giornali per ragazzi, non “confessionali” (giacché allora esistevano già il governativo «Corrierino», figlio del «Corriere della Sera», il cattolico «Giornalino», nonché il fascistissimo «Giornalino dei Balilla», mentre stava per arrivare, nel ’37, il cattolicissimo «Vittorioso»).
«Il Monello» nasce nel ’33, «l’Intrepido» nel ’35; vivranno fino agli anni Novanta, formando generazioni di ragazzi (compresa chi scrive), mentre la presse du coeur , attraverso il fotoromanzo, assolverà a un compito educativo importantissimo: non solo divertendo, ma insegnando addirittura a «vivere la modernità» a milioni di donne, dall’educazione sentimentale all’igiene personale.
Nel ’38, dopo il fallimento della sua casa editrice italiana, Cino Del Duca si trasferisce in Francia, dove riesce a stampare e a diffondere i suoi giornali anche sotto il regime di Vichy, conducendo un doppio gioco pericolosissimo che gli varrà, a guerra finita, la Legion d’Onore, la Croce di Guerra e la Medaille de la Reconnaissance Française. La sua nuova impresa era stata battezzata «Les Editions Mondiales», e mondiale lo sarebbe diventata davvero: nel Dopoguerra, «Nous Deux» in Francia, come «Grand Hotel» in Italia, tireranno un milione e duecentomila copie ciascuna.
Nel 1956 il cuore socialista di Del Duca si getta in una nuova avventura, stavolta italiana: la creazione di un quotidiano di centro-sinistra. Nasce «il Giorno» – diretto da Gaetano Baldacci –, promosso con un altro marchigiano, Enrico Mattei. Ma la loro alleanza si romperà presto.
Il 19 settembre 1957, Del Duca – sganciatosi da «il Giorno» – acquista «Franc-Tireur», ex giornale clandestino nato nel ’41, e lo trasforma in «Paris-Journal», con un lancio in grande stile. Un “rital”, come vengono chiamati con disprezzo gli italiani in Francia, che penetra e sconvolge il mondo dell’informazione quotidiana. «Il miliardario con il cuore a sinistra, il Re della stampa rosa», s’impadronisce di una grande fetta della stampa quotidiana. È il salto di qualità mai riuscito in Italia. Subito dopo, Del Duca diviene produttore cinematografico, lasciandoci alcuni tra i film più significativi della storia del cinema: L’Avventura di Antonioni, Il Bell’Antonio di Bolognini e Accattone di Pasolini.
Cino del Duca muore alla vigilia del ’68. Forse sorriderebbe (nella scheda segnaletica della polizia fascista era scritto proprio così: «espressione sorridente, segno della sua sicurezza»), pensando alla paradossale conclusione della nostra storia: «l’Unità» inghiottita dal polo rosa dell’editoria, erede della presse du coeur dello spericolato Del Duca, che nel suo campo fu un eccellente imprenditore, a differenza degli ultimi amministratori del giornale che ora verrà finalmente rilanciato da un imprenditore che ha dimostrato di essere altrettanto coraggioso e capace.
Dunque, il lungo viaggio iniziato dal garibaldino Giosuè Del Duca in occasione dell’ultima battaglia di Digione del 1871 (combattuta agli ordini dell’ “Eroe dei Due Mondi”) si conclude, quasi 150 anni dopo, col recupero de «l’Unità», vessillo di una rivoluzione solo sognata e mai realizzatasi nel nostro Paese.
Piccolo, anzi piccolissimo commerciante di provincia, Giosuè – nato a Montedinove, in provincia di Ascoli Piceno – pagherà amaramente le sue convinzioni garibaldine con continui rovesci finanziari. Cosicché Pacifico (detto Cino), il maggiore e il più intelligente dei suoi quattro figli, dovrà lasciare gli studi, per cominciare a lavorare a soli 13 anni. Cino, nato nel 1899, è però già uno straordinario imprenditore di se stesso: farà di tutto per mantenersi e aiutare la famiglia, girando le Marche come fattorino, piazzista di libri e soprattutto di romanzi popolari a dispense, fino a quando, compiuti i diciotto anni, non sarà costretto a partire per la Grande Guerra. Tornato decorato e assunto dalle Ferrovie, a causa della sua militanza socialista si guadagnerà un confino ad Agropoli (nel 1921) e un licenziamento – perché sovversivo – già nel 1923.
Si trasferirà quindi prima a Pavia e poi a Milano, dove dal ’24 al ’29 lavorerà per un altro editore, Lotario Vecchi, sempre vendendo dispense porta a porta, fino a quando nel 1929, coinvolgendo tutta la sua famiglia (un comportamento tipicamente marchigiano), creerà “La Moderna” (poi Casa Editrice Universo), con una tipografia di proprietà.
Il rivoluzionario, divenuto imprenditore e padroncino (ben quaranta operai), resterà comunque antifascista. Cino riesce a sfruttare un settore – quello dell’editoria rosa e per ragazzi – in cui è possibile realizzare profitti senza chinarsi platealmente a Mussolini. Del Duca non ha i soldi per pagare giornalisti e scrittori famosi, e quindi se li inventa: «Si offre la pubblicazione a Giovani Abilissimi Scrittori». Grazie a quest’annuncio, ne scoprirà moltissimi: giovani, e non solo scrittori, ma anche disegnatori e dirigenti.
La prima a rispondere all’appello è una donna, Luciana Peverelli, che lo accompagnerà per mezzo secolo in questa avventura, dirigendo le sue creature più importanti: «il Monello», rivista destinata ai ragazzi (titolo ispirato da Chaplin), «l’Intrepido» (prodotto per i più grandicelli) e, nel Secondo Dopoguerra, «Stop»,il vero padre del giornalismo gossip italiano.
All’inizio, però, la Peverelli esordisce con un libro a dispense, «Cuore Garibaldino», un romanzone chiaramente ispirato all’epopea di Giosuè Del Duca. Poi i veri colpi di genio, i primi giornali per ragazzi, non “confessionali” (giacché allora esistevano già il governativo «Corrierino», figlio del «Corriere della Sera», il cattolico «Giornalino», nonché il fascistissimo «Giornalino dei Balilla», mentre stava per arrivare, nel ’37, il cattolicissimo «Vittorioso»).
«Il Monello» nasce nel ’33, «l’Intrepido» nel ’35; vivranno fino agli anni Novanta, formando generazioni di ragazzi (compresa chi scrive), mentre la presse du coeur , attraverso il fotoromanzo, assolverà a un compito educativo importantissimo: non solo divertendo, ma insegnando addirittura a «vivere la modernità» a milioni di donne, dall’educazione sentimentale all’igiene personale.
Nel ’38, dopo il fallimento della sua casa editrice italiana, Cino Del Duca si trasferisce in Francia, dove riesce a stampare e a diffondere i suoi giornali anche sotto il regime di Vichy, conducendo un doppio gioco pericolosissimo che gli varrà, a guerra finita, la Legion d’Onore, la Croce di Guerra e la Medaille de la Reconnaissance Française. La sua nuova impresa era stata battezzata «Les Editions Mondiales», e mondiale lo sarebbe diventata davvero: nel Dopoguerra, «Nous Deux» in Francia, come «Grand Hotel» in Italia, tireranno un milione e duecentomila copie ciascuna.
Nel 1956 il cuore socialista di Del Duca si getta in una nuova avventura, stavolta italiana: la creazione di un quotidiano di centro-sinistra. Nasce «il Giorno» – diretto da Gaetano Baldacci –, promosso con un altro marchigiano, Enrico Mattei. Ma la loro alleanza si romperà presto.
Il 19 settembre 1957, Del Duca – sganciatosi da «il Giorno» – acquista «Franc-Tireur», ex giornale clandestino nato nel ’41, e lo trasforma in «Paris-Journal», con un lancio in grande stile. Un “rital”, come vengono chiamati con disprezzo gli italiani in Francia, che penetra e sconvolge il mondo dell’informazione quotidiana. «Il miliardario con il cuore a sinistra, il Re della stampa rosa», s’impadronisce di una grande fetta della stampa quotidiana. È il salto di qualità mai riuscito in Italia. Subito dopo, Del Duca diviene produttore cinematografico, lasciandoci alcuni tra i film più significativi della storia del cinema: L’Avventura di Antonioni, Il Bell’Antonio di Bolognini e Accattone di Pasolini.
Cino del Duca muore alla vigilia del ’68. Forse sorriderebbe (nella scheda segnaletica della polizia fascista era scritto proprio così: «espressione sorridente, segno della sua sicurezza»), pensando alla paradossale conclusione della nostra storia: «l’Unità» inghiottita dal polo rosa dell’editoria, erede della presse du coeur dello spericolato Del Duca, che nel suo campo fu un eccellente imprenditore, a differenza degli ultimi amministratori del giornale che ora verrà finalmente rilanciato da un imprenditore che ha dimostrato di essere altrettanto coraggioso e capace.