attualità, pari opportunità | diritti

“Gay Talese: non vedremo la fine del razzismo finché ci sarà la nostra generazione”, di Paolo Mastrolilli – La Stampa 07.03.15

Gay Talese

«Niente, la mia generazione deve morire. Fino a quando questo non succederà, e non lasceremo il passo ad una più giovane e aperta, il razzismo resterà con noi. Non solo negli Stati Uniti, ma anche in Italia: non pensiate di essere diversi voi».

Gay Talese c’era, cinquant’anni fa a Selma. Era andato a raccontare la marcia per il New York Times, che adesso lo ha rimandato in Alabama a ripercorrere la storia. «Ma è tutto un gioco, una photo opportunity, un’ipocrisia. Sembra che questo piccolo paese del sud sia la radice del problema, quando invece lo stesso razzismo esiste dentro di noi, ovunque nel paese. Andremo, faremo le parate, e poi torneremo alle nostre vite segregate».

Qual è il ricordo più vivo che ha della marcia?

la marcia da selma a montgomery di martin luther king jr 9

«Vedere Martin Luther King combattere una battaglia di cento anni prima».

Cioè?

«Un premio Nobel per la pace, una figura nota in tutto il mondo, che marciava nel 1965 in Alabama per cercare di affermare gli stessi principi per cui nel 1865 era stata combattuta la Guerra civile. Nulla era cambiato, in un secolo, e questa era la vera tragedia dell’America».

Perché dice che Selma non era la radice del problema?

la marcia da selma a montgomery di martin luther king jr 8

«Io sono cresciuto nel New Jersey, e vicino al negozio di sarto di mio padre vedevo spesso riunirsi degli uomini vestiti di bianco, che appartenevano al Ku Klux Klan. Il razzismo era dentro di noi, ovunque, solo che noi eravamo ipocriti e lo nascondevamo. Su questo aveva proprio ragione Wallace».

Chi, il governatore dell’Alabama? Ma non era quello che aveva ordinato di picchiare i manifestanti a Selma?

«Una volta l’ho intervistato, all’hotel Pierre di New York, nel cuore dell’Upper East Side privilegiato di Manhattan. Mi prese per un braccio, mi portò alla finestra, e indicandomi la Fifth Avenue mi disse: “Voi ve la prendete con il Sud, ma non siete diversi. Mi indichi una sola persona nera che vede per strada”. Ci pensai su, e mi resi conto che aveva ragione. Io abitavo e abito nell’Upper East Side: non avevo allora, e non ho oggi, un solo vicino di casa nero. Segregazione economica e sociale non dichiarata».

la marcia da selma a montgomery di martin luther king jr 7

Ma alla Casa Bianca c’è un presidente nero.

«Certo. Se è per questo, il sindaco di New York de Blasio è sposato con una donna nera e ha due figli misti. Sono eccezioni, però. La realtà quotidiana della gente normale non è questa. La nostra società è ancora segregata, e lo è anche la vostra».

Cosa intende dire?

«Io sono italiano, mio padre era emigrato dalla Calabria. Qual è la nostra storia? Dopo il Risorgimento e l’unificazione guidata da Garibaldi, la Calabria, la Sicilia, il sud in generale, erano l’Alabama dell’Italia. La gente povera moriva di fame e cercava di costruirsi una vita decente altrove, come mio padre che partì per l’America. Arrivati qui fummo maltrattati e discriminati, ma poco alla volta riuscimmo ad affermarci. E quando ci integrammo cosa facemmo? Cominciammo a riservare lo stesso trattamento alle altre minoranze, maltrattando i neri come facevano tutti gli altri bianchi. Nel frattempo il razzismo esplodeva anche in Italia».

ellis island immigrati italiani 4

Cioè?

«Ricordo che una volta venni a Roma, con l’ambasciatore americano Rabb, e l’autista che ci portava si lamentava: “Questa città – diceva – si sta riempiendo di meridionali. Con tutti questi calabresi, sembra di stare in Africa”. Io sono calabrese – pensai – e sono venuto dall’America fino a qui per farmi insultare da questo ignorante. Non lo vede? Non c’è alcuna differenza fra questo razzismo, e quello di Selma contro i neri».

L’Italia è razzista come l’Alabama del 1965?

«Certo. Infatti ora che siete ricchi, e gli immigrati vengono da voi, non volete i neri. Ma anche l’America è razzista come l’Alabama del 1965, tutti lo siamo».

ellis island immigrati italiani 3

Come ne veniamo fuori?

«E’ un problema economico, perché i neri continuano a non avere le stesse opportunità dei bianchi, ma soprattutto culturale. E a questo punto temo che non sia più possibile cambiare il cuore degli uomini. Bisogna aspettare che muoiano le generazioni razziste, ed educare meglio i giovani, nella speranza che crescano senza questi pregiudizi. E’ difficile, però, perché da ragazzi siamo sensibili, ma invecchiando diventiamo tutti più conservatori e intolleranti verso gli altri».