La parlamentare modenese del Pd Manuela Ghizzoni, in mattinata, ha preso parte al dibattito organizzato presso la Camera del lavoro di Modena, in occasione della Festa della donna, sui temi della parità salariale e pensionistica. “Bene ha fatto il Governo a prevedere nuove misure in materia di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro – ha detto Manuela Ghizzoni – ma la reale parità di accesso, di guadagno e di carriera nel mondo del lavoro come in quello della pensione rappresenta una battaglia ancora non vinta”. Ecco la sua dichiarazione:
«Con molto interesse, in mattinata, ho preso parte all’incontro organizzato dalla Cgil e dalle donne dello Spi-Cgil sui temi della parità salariale e pensionistica. E’ bello pensare che donne in pensione, ma ancora attive sindacalmente e politicamente, si preoccupino delle donne che quella stessa pensione vedono oggi sempre più lontana. Su questo tema, peraltro è giusto e opportuno che giovedì scorso la Commissione Lavoro della Camera abbia dato avvio – per impulso del Partito democratico – a una specifica indagine conoscitiva per valutare gli effetti “di genere” della riforma pensionistica. E’ esperienza comune, infatti, che le donne che hanno avuto figli, per lo più, raggiungono l’anzianità contributiva necessaria per maturare la pensione più tardi rispetto agli uomini. Ora anche l’età della pensione di vecchiaia è stata spostata molto in avanti e con risultati penalizzanti per le donne: è stato calcolato che una donna nata nel gennaio 1952, ad esempio, può andare in pensione fino a quattro anni prima di una sua coetanea nata solo cinque mesi dopo, sempre nello stesso anno. La crisi, poi, ha come irrigidito le differenze tra uomo e donna nel mondo del lavoro. Una recente indagine ha sancito che il divario economico tra uomini e donne in Italia è del 45%: se un uomo prende mille euro al mese, una donna si ferma a quota 550. E dove le differenze sono molto più attenuate è perché tutti si trovano al minimo contrattuale. In Italia ci sono settori lavorativi ormai eminentemente femminili, come quello della scuola. Eppure anche qui la piramide gerarchica non lascia scampo: si va dalla pressoché totale “femminilizzazione” delle maestre di scuola materna alla pressoché totale “mascolinizzazione” dei rettori d’ateneo. Eppure le donne sono più brave negli studi, finiscono prima l’Università, ma poi scontano un inevitabile divario di guadagno e di carriera. Sempre ammesso che riescano a restaci nel mondo del lavoro e che non siano costrette a firmare una “dimissione in bianco” da utilizzare per mandare via la lavoratrice in caso di gravidanza: su questo tema chiediamo al Governo la immediata attuazione delle disposizioni – contenute nel Jobs act – per contrastare questo fenomeno ignobile. Vanno, comunque, valutati positivamente gli interventi del Governo a sostegno del lavoro femminile e in materia di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro come, ad esempio, le risorse per l’occupazione destinate alle Regioni che hanno un tasso di lavoratrici al di sotto del 40%, la maggiore elasticità nella fruizione del congedo obbligatorio di maternità e del congedo parentale e il voucher per pagare baby-sitter o asilo nido che si aggiunge al bonus bebè. Ma la reale parità di accesso, di guadagno e di carriera nel mondo del lavoro, come in quello della pensione, rappresenta una battaglia ancora non vinta».
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