Tra corruzione, ricerca e “fuga dei cervelli” esiste un rapporto ben preciso, dimostrato dai numeri, come mostrano le indagini svolte da organismi come lo European Research Centre for Anti-corruption and State-building e l’Eurobarometer: l’innovazione scientifica e tecnologica in un Paese è inversamente proporzionale al suo tasso di corruzione. È così che l’Italia si trova in coda – e addirittura in preoccupante regresso negli ultimi anni – sia nel controllo della corruzione che nell’innovazione.
Corruzione, nel senso più generale, è anche la presenza e il successo di personaggi come Vannoni, e il caso Stamina di cui in questi giorni si celebra la fine, nei Tribunali e in Parlamento. Ma, purtroppo, questo non è l’unico caso di ciarlatani che ottengono udienza a livello politico e danneggiano pesantemente la ricerca. Nel caso Stamina forse i danni sono stati adesso limitati al passato. Ma il caso dello scioglimento dell’Istituto Nazionale di Fisica della Materia è uno in cui i ciarlatani di turno se la sono cavata… . E continuano.
Se n’è parlato anche all’ultima Falling Walls conference, il convegno sulle “cadute dei muri” nella cultura e nella scienza con cui ogni anno Berlino celebra la caduta del 1989. Una serie di conferenze che per me è stata, negli ultimi anni, un’occasione per incontrare i molti ricercatori italiani che hanno dovuto andare in Germania e in altri Paesi europei, in particolare dopo lo scioglimento dell’Istituto di cui sopra.
Nell’ultimo si sono discussi alcuni dati molto interessanti che mettono in collegamento la posizione dei Paesi nella classifica internazionale della corruzione e il brain drain. In questa l’Italia risulta essere la prima in Europa. Inutile dire che la discussione che ne è seguita è stata particolarmente imbarazzante, anche perché recenti iniziative del Miur e una Regione hanno dimostrato una continuità di questa politica nel nostro Paese.
La spiegazione non è da ricercarsi in un problema ideologico: in generale, i Paesi che non finanziano la ricerca scientifica non lo fanno per (miope) scelta politica, ma semplicemente – ci spiegano i rapporti europei – perché è più difficile dirottare soldi per la corruzione dai capitali investiti in ricerca piuttosto che da capitali stanziati per altri tipi di appalto o lavoro pubblico. L’esperienza ci insegna però che anche questo ostacolo si può eliminare facilmente, occupando con persone raccomandate e incompetenti posizioni di controllo in enti di ricerca.
Per comprendere le tendenze generali, è interessante guardare anche al piano dei comportamenti individuali: a livello statistico si sa infatti che una singola persona è meno incline ad accettare fenomeni di corruzione quanto più istruita e dotata di abilità (skills), o, in altre parole, quanto più si aspetta di raggiungere un risultato grazie alle sue forze e ai suoi meriti. Non stupirà dunque che tra corruzione e brain drain sia registrata la connessione a cui accennavo sopra, e che la performance dell’Italia si ritrovi, anche qui, tra le peggiori in Europa.
Con il brain drain si innesca un circolo vizioso difficile da spezzare: i “cervelli” che, trovandosi al di fuori delle logiche della corruzione, sono costretti a spostarsi all’estero per veder riconosciuti i loro meriti, sono anche i “cervelli” che potrebbero promuovere un cambiamento. Per ogni “cervello” che lascia l’Italia, per la Svezia, la Finlandia o il Lussemburgo (esempi di Paesi in fondo alle classifiche sulla corruzione e in cima a quelle sull’innovazione), si allontana sempre di più la possibilità di fare massa critica contro la corruzione e cambiare il sistema in Italia.
Un’inversione di tendenza è molto complessa da ottenere. Non basta mettere a punto i giusti regolamenti e investimenti di risorse, se l’applicazione dei primi e la gestione dei secondi è poi affidata a dirigenti scelti secondo logiche di lottizzazione politica anziché in base alla competenza. Non bisogna, insomma, fare l’errore di vedere corruzione solo là dove avviene uno scambio illecito di denaro: non si riuscirà a rompere il circolo vizioso se non si cominciano a mettere le persone giuste al posto giusto.
Se n’è parlato anche all’ultima Falling Walls conference, il convegno sulle “cadute dei muri” nella cultura e nella scienza con cui ogni anno Berlino celebra la caduta del 1989. Una serie di conferenze che per me è stata, negli ultimi anni, un’occasione per incontrare i molti ricercatori italiani che hanno dovuto andare in Germania e in altri Paesi europei, in particolare dopo lo scioglimento dell’Istituto di cui sopra.
Nell’ultimo si sono discussi alcuni dati molto interessanti che mettono in collegamento la posizione dei Paesi nella classifica internazionale della corruzione e il brain drain. In questa l’Italia risulta essere la prima in Europa. Inutile dire che la discussione che ne è seguita è stata particolarmente imbarazzante, anche perché recenti iniziative del Miur e una Regione hanno dimostrato una continuità di questa politica nel nostro Paese.
La spiegazione non è da ricercarsi in un problema ideologico: in generale, i Paesi che non finanziano la ricerca scientifica non lo fanno per (miope) scelta politica, ma semplicemente – ci spiegano i rapporti europei – perché è più difficile dirottare soldi per la corruzione dai capitali investiti in ricerca piuttosto che da capitali stanziati per altri tipi di appalto o lavoro pubblico. L’esperienza ci insegna però che anche questo ostacolo si può eliminare facilmente, occupando con persone raccomandate e incompetenti posizioni di controllo in enti di ricerca.
Per comprendere le tendenze generali, è interessante guardare anche al piano dei comportamenti individuali: a livello statistico si sa infatti che una singola persona è meno incline ad accettare fenomeni di corruzione quanto più istruita e dotata di abilità (skills), o, in altre parole, quanto più si aspetta di raggiungere un risultato grazie alle sue forze e ai suoi meriti. Non stupirà dunque che tra corruzione e brain drain sia registrata la connessione a cui accennavo sopra, e che la performance dell’Italia si ritrovi, anche qui, tra le peggiori in Europa.
Con il brain drain si innesca un circolo vizioso difficile da spezzare: i “cervelli” che, trovandosi al di fuori delle logiche della corruzione, sono costretti a spostarsi all’estero per veder riconosciuti i loro meriti, sono anche i “cervelli” che potrebbero promuovere un cambiamento. Per ogni “cervello” che lascia l’Italia, per la Svezia, la Finlandia o il Lussemburgo (esempi di Paesi in fondo alle classifiche sulla corruzione e in cima a quelle sull’innovazione), si allontana sempre di più la possibilità di fare massa critica contro la corruzione e cambiare il sistema in Italia.
Un’inversione di tendenza è molto complessa da ottenere. Non basta mettere a punto i giusti regolamenti e investimenti di risorse, se l’applicazione dei primi e la gestione dei secondi è poi affidata a dirigenti scelti secondo logiche di lottizzazione politica anziché in base alla competenza. Non bisogna, insomma, fare l’errore di vedere corruzione solo là dove avviene uno scambio illecito di denaro: non si riuscirà a rompere il circolo vizioso se non si cominciano a mettere le persone giuste al posto giusto.
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