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“Per i ricercatori a tempo indeterminato cambiare università è praticamente un miraggio”, di Marzio Bartoloni – Scuola 24 26.02.15

“Condannati” a vita (quella lavorativa) a restare nel proprio ateneo. È il destino a cui è costretta la stragrande maggioranza dei ricercatori a tempo indeterminato. Una figura “in via di estinzione”, perché sostituita nel 2010 da quella dei ricercatori a tempo determinato (di tipo a e b) della riforma Gelmini, che però conta ancora quasi ventimila persone. Per loro la mobilità da un ateneo all’altro è praticamente un miraggio. La colpa è a da una parte dei vincoli normativi e dall’altra del taglio delle risorse che in passato servivano proprio a questo compito. Nasce da qui unainterrogazione a firma di Manuela Ghizzoni (Pd) e Ilaria Capua (Scelta civica) depositata nei giorni scorsi in cui si chiede una soluzione al ministro Giannini.

La mobilità è un miraggio
Nella loro interrogazione le due deputate ricordano come i ricercatori universitari a tempo indeterminato rappresentino ancora oggi «nonostante che il ruolo sia stato posto sostanzialmente ad esaurimento» dalla riforma Gelmini una «quota notevole» del personale docente universitario. E tra di loro ci sono anche persone «relativamente giovani assunte dal 2008 al 2010» con le risorse della finanziaria del 2007, ma
«a causa delle vigenti normative è divenuto quasi impossibile per questa categoria di ricercatori trasferirsi da un ateneo all’altro». L’interrogazione spiega infatti come da un lato non possono partecipare a concorsi a posti di ricercatore a tempo indeterminato «in quanto questi non possono essere più banditi» come prevede la riforma Gelmini e dall’altro non possono usufruire facilmente delle procedure di trasferimento previste dalla stessa riforma per due motivi. Innanzitutto «il costo, in denaro e in punti organico, di una chiamata per trasferimento – ricordano le due deputate – sarebbe interamente a carico dell’ateneo» , questo significa che è «meno appetibile» rispetto ad una promozione interna a professore associato o ordinario, o a un’assunzione di un ricercatore a tempo determinato. E poi, prosegue l’interrogazione «queste procedure non possono essere né conteggiate ai fini della condizione di reclutamento esterno di docenti prevista dall’articolo 18, comma 4, della legge n. 240 del 2010, né sono incentivate da specifici finanziamenti ministeriali». E qui c’è l’altro nodo

Niente più incentivi nel Ffo
Come ricordano le due parlamentari in passato il ministero metteva da parte delle risorse ad hoc per facilitare la mobilità: «Per molti anni e fino all’anno 2010, il decreto ministeriale di ripartizione del fondo di finanziamento ordinario (Ffo) prevedeva una quota destinata ad un intervento per favorire la mobilità del personale docente e ricercatore tramite l’assegnazione, a determinate condizioni, di un cofinanziamento dello stipendio della persona chiamata posto a carico della quota prestabilita del Ffo». Ma questa quota a partire dall’anno 2011, è stata «dapprima ridotta e resa applicabile solo ai trasferimenti dei professori di I e II fascia, poi definitivamente eliminata dal decreto di ripartizione del Ffo». A certificarlo sarebbe l’ultimo Ffo, quello relativo al 2014, che non prevede risorse in questo senso. «Eppure la mobilità tra gli atenei del personale docente e ricercatore è unanimemente ritenuta essere un elemento fondamentale per la qualità del sistema universitario, in quanto – spiega in conclusione l’interrgoazione – favorisce il ricambio e una continua innovazione di temi e metodologie sia nella ricerca che nella didattica di un ateneo, anche aprendo spazi culturali e fornendo stimoli importanti per nuove collaborazioni interdisciplinari e interuniversitarie».

 

 

 

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