La tutela delle vittime non ha frontiere nella Ue. In particolare nei casi di stalking e di violenza domestica. Un risultato cui mira il regolamento Ue n. 606/2013 del 12 giugno 2013, entrato in vigore l’11 gennaio scorso. La norma riguarda il riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile e prevede che i provvedimenti di protezione emessi in uno Stato Ue debbano garantire le vittime in tutto lo spazio dell’Unione.
In pratica, una misura di protezione decisa dallo Stato membro di origine dovrà essere eseguita e trattata come se fosse stata adottata nello Stato richiesto, senza alcun onere sulla vittima che non sarà più obbligata ad avviare nuove procedure. Unica condizione è che il provvedimento sia accompagnato da un modello uniforme di certificato e sia affiancato da un modulo standard multilingue (i formulari sono allegati al regolamento). Nel segno della fiducia reciproca, è esclusa la possibilità di ricorso contro il rilascio del certificato.
Il regolamento, adottato nell’ambito della cooperazione giudiziaria civile, è funzionale a proteggere una persona, anche per prevenire ogni forma di «violenza di genere o di violenza nelle relazioni strette quali violenze fisiche, molestie, aggressioni sessuali, stalking, intimidazioni o altre forme indirette di coercizione».
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione, l’atto Ue si occupa dei casi transfrontalieri. La qualificazione della nozione di transfrontaliero è fornita dallo stesso regolamento, che aderisce a una definizione ampia: sono, infatti, considerati tali i casi in cui il riconoscimento della misura di protezione disposta in uno Stato membro sia chiesto in un altro Stato membro.
Il regolamento, invece, non incide sulle legislazioni nazionali riguardanti le misure da adottare, lasciando le autorità interne libere nell’individuazione dei provvedimenti. Una mancata armonizzazione che porta, però, a un ridimensionamento negli effetti del regolamento.
Sotto il profilo temporale, infatti, proprio a causa della diversità delle misure di protezione nazionali, gli effetti del riconoscimento sono limitati a un periodo di 12 mesi a partire dal rilascio del certificato, “«ndipendentemente dall’eventuale maggiore durata della misura di protezione stessa (sia essa di natura provvisoria, limitata nel tempo o indefinita)».
Ampio spazio agli Stati per le procedure di esecuzione delle misure di protezione. Resta fuori dal regolamento la disciplina sulle sanzioni nel caso in cui venga violata la misura.
Nell’ottica di assicurare i diritti di difesa del destinatario del provvedimento, nel caso di procedura in assenza di contraddittorio, il rilascio del certificato è condizionato alla circostanza che la persona abbia avuto la possibilità di difendersi contro la misura di protezione. Questo vuol dire che lo Stato di esecuzione potrà anche negare il riconoscimento, però non potrà procedere a un riesame del merito della misura di protezione.
Sul fronte penale, l’Unione europea ha adottato la direttiva 2012/29 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/Gai, e la direttiva 2011/99 sull’ordine di protezione europeo. L’Italia, però, non ha ancora proceduto al recepimento, malgrado l’inclusione dei due testi nell’allegato B della legge di delegazione europea 2013.
In pratica, una misura di protezione decisa dallo Stato membro di origine dovrà essere eseguita e trattata come se fosse stata adottata nello Stato richiesto, senza alcun onere sulla vittima che non sarà più obbligata ad avviare nuove procedure. Unica condizione è che il provvedimento sia accompagnato da un modello uniforme di certificato e sia affiancato da un modulo standard multilingue (i formulari sono allegati al regolamento). Nel segno della fiducia reciproca, è esclusa la possibilità di ricorso contro il rilascio del certificato.
Il regolamento, adottato nell’ambito della cooperazione giudiziaria civile, è funzionale a proteggere una persona, anche per prevenire ogni forma di «violenza di genere o di violenza nelle relazioni strette quali violenze fisiche, molestie, aggressioni sessuali, stalking, intimidazioni o altre forme indirette di coercizione».
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione, l’atto Ue si occupa dei casi transfrontalieri. La qualificazione della nozione di transfrontaliero è fornita dallo stesso regolamento, che aderisce a una definizione ampia: sono, infatti, considerati tali i casi in cui il riconoscimento della misura di protezione disposta in uno Stato membro sia chiesto in un altro Stato membro.
Il regolamento, invece, non incide sulle legislazioni nazionali riguardanti le misure da adottare, lasciando le autorità interne libere nell’individuazione dei provvedimenti. Una mancata armonizzazione che porta, però, a un ridimensionamento negli effetti del regolamento.
Sotto il profilo temporale, infatti, proprio a causa della diversità delle misure di protezione nazionali, gli effetti del riconoscimento sono limitati a un periodo di 12 mesi a partire dal rilascio del certificato, “«ndipendentemente dall’eventuale maggiore durata della misura di protezione stessa (sia essa di natura provvisoria, limitata nel tempo o indefinita)».
Ampio spazio agli Stati per le procedure di esecuzione delle misure di protezione. Resta fuori dal regolamento la disciplina sulle sanzioni nel caso in cui venga violata la misura.
Nell’ottica di assicurare i diritti di difesa del destinatario del provvedimento, nel caso di procedura in assenza di contraddittorio, il rilascio del certificato è condizionato alla circostanza che la persona abbia avuto la possibilità di difendersi contro la misura di protezione. Questo vuol dire che lo Stato di esecuzione potrà anche negare il riconoscimento, però non potrà procedere a un riesame del merito della misura di protezione.
Sul fronte penale, l’Unione europea ha adottato la direttiva 2012/29 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/Gai, e la direttiva 2011/99 sull’ordine di protezione europeo. L’Italia, però, non ha ancora proceduto al recepimento, malgrado l’inclusione dei due testi nell’allegato B della legge di delegazione europea 2013.