Chi è, anzi, cos’è un «sopravvissuto», Dino Direnzo lo ha capito appena ha messo piede nell’auditorium in cui il Consiglio nazionale dei geologi, con una manifestazione sulla prevenzione e sui terremoti, stava premiando il Comune di San Giuliano di Puglia, uno dei paesi molisani colpiti dal sisma del 31 ottobre 2002. Troppa gente che voleva stringergli la mano, troppi individui rapidi a cogliere l’occasione della passerella, troppi politici casualmente accanto a lui in favore di telecamera. Povero Dino, è dovuto sopravvivere per la seconda volta.
La prima fu a San Giuliano di Puglia, dove Dino è nato ventidue anni fa e dove rischiò di morire prematuramente, assieme ai ventisette bambini e a una maestra della scuola elementare di via Giovanni XXIII, travolti dal crollo del solaio dell’edificio, una scuola diventata tristemente famosa per essere stata costruita male e sopraelevata peggio, come hanno poi appurato le perizie tecniche e i diversi gradi di giudizio, fino in Cassazione.
Il giorno in cui la scuola crollò tutti diedero la colpa al terremoto, ma poi fu subito chiaro che la strage era avvenuta «in occasione», non «per colpa» del sisma, poiché, per come era stato tirato su, quell’edificio avrebbe potuto accartocciarsi anche in seguito a un’abbondante nevicata. Il sisma insomma fu la scintilla, non l’esplosivo. Questo concetto, Dino Direnzo, che nel crollo della scuola ha perso quattro compagni di classe e da allora vive, come dice lui, «con il chiodo fisso del rispetto delle leggi della natura e con la voglia di rendermi utile alla comunità in cui sono nato e cresciuto», ha voluto spiegarlo davanti a tutti durante il convegno dei geologi, che hanno assegnato proprio al suo paese il premio Avus, quello che l’Associazione delle vittime universitarie del sisma dell’Aquila (6 aprile 2009) ha voluto istituire non solo per onorare la memoria di vittime innocenti, ma soprattutto per far sì che l’Italia, più che per terremoti che non sono certo tsunami, non debba tremare di paura per scuole ed edifici insicuri. «Nel 2002, la nostra scuola non crollò per il terremoto, ma perché era stato fatto ciò che non andava fatto e nessuno disse nulla fino a quando non avvenne la tragedia», dice Dino a quegli interlocutori che la raccontano a metà, evocando la sempre utile «tragica fatalità». Dino ascolta e sorride. E racconta di aver voluto essere lì perché tra due mesi si laurea in Geologia e dopo la triennale continuerà a studiare, sempre da geologo. «Ho fatto questa scelta — dice — perché sentivo di avere un obbligo verso i miei compagni di scuola che sono morti non per colpa della natura, ma per colpa degli uomini, e nel luogo che per loro avrebbe dovuto essere il più sicuro, la scuola».
Dino non è venuto a Campobasso a interpretare il ruolo del «caso umano» e non gli piace sentir parlare, ancora dopo dodici anni, dei suoi piccoli amici che sono morti come degli «angeli» che un dio capriccioso a un certo punto ha deciso di chiamare a sé. Dino è venuto a ricordare una cosa semplice. Questa: «Dopo la strage di San Giuliano, tutti promisero che il primo obiettivo del nostro Paese sarebbe stato quello di mettere in sicurezza gli edifici scolastici. Ebbene, chiunque può facilmente rendersi conto che quella promessa non è stata mantenuta. Oggi, in Molise, in Italia, le scuole non sono luoghi sicuri per chi le frequenta».
Dino Direnzo ha studiato a Roma, ma ha deciso che tornerà a San Giuliano di Puglia, perché lì ha capito cosa significa tenersi per mano, ricominciare, combattere la paura e superare gli incubi, quelle ombre che ancora fino alla vigilia del Natale scorso si sono riaffacciate con un’altra breve scossa di terremoto. Ma Dino e la sua generazione devono essere messi in condizione di cambiare rotta. «Altrimenti anche quelli come me se andranno per sempre e questo sarà il terremoto vero, definitivo».
La prima fu a San Giuliano di Puglia, dove Dino è nato ventidue anni fa e dove rischiò di morire prematuramente, assieme ai ventisette bambini e a una maestra della scuola elementare di via Giovanni XXIII, travolti dal crollo del solaio dell’edificio, una scuola diventata tristemente famosa per essere stata costruita male e sopraelevata peggio, come hanno poi appurato le perizie tecniche e i diversi gradi di giudizio, fino in Cassazione.
Il giorno in cui la scuola crollò tutti diedero la colpa al terremoto, ma poi fu subito chiaro che la strage era avvenuta «in occasione», non «per colpa» del sisma, poiché, per come era stato tirato su, quell’edificio avrebbe potuto accartocciarsi anche in seguito a un’abbondante nevicata. Il sisma insomma fu la scintilla, non l’esplosivo. Questo concetto, Dino Direnzo, che nel crollo della scuola ha perso quattro compagni di classe e da allora vive, come dice lui, «con il chiodo fisso del rispetto delle leggi della natura e con la voglia di rendermi utile alla comunità in cui sono nato e cresciuto», ha voluto spiegarlo davanti a tutti durante il convegno dei geologi, che hanno assegnato proprio al suo paese il premio Avus, quello che l’Associazione delle vittime universitarie del sisma dell’Aquila (6 aprile 2009) ha voluto istituire non solo per onorare la memoria di vittime innocenti, ma soprattutto per far sì che l’Italia, più che per terremoti che non sono certo tsunami, non debba tremare di paura per scuole ed edifici insicuri. «Nel 2002, la nostra scuola non crollò per il terremoto, ma perché era stato fatto ciò che non andava fatto e nessuno disse nulla fino a quando non avvenne la tragedia», dice Dino a quegli interlocutori che la raccontano a metà, evocando la sempre utile «tragica fatalità». Dino ascolta e sorride. E racconta di aver voluto essere lì perché tra due mesi si laurea in Geologia e dopo la triennale continuerà a studiare, sempre da geologo. «Ho fatto questa scelta — dice — perché sentivo di avere un obbligo verso i miei compagni di scuola che sono morti non per colpa della natura, ma per colpa degli uomini, e nel luogo che per loro avrebbe dovuto essere il più sicuro, la scuola».
Dino non è venuto a Campobasso a interpretare il ruolo del «caso umano» e non gli piace sentir parlare, ancora dopo dodici anni, dei suoi piccoli amici che sono morti come degli «angeli» che un dio capriccioso a un certo punto ha deciso di chiamare a sé. Dino è venuto a ricordare una cosa semplice. Questa: «Dopo la strage di San Giuliano, tutti promisero che il primo obiettivo del nostro Paese sarebbe stato quello di mettere in sicurezza gli edifici scolastici. Ebbene, chiunque può facilmente rendersi conto che quella promessa non è stata mantenuta. Oggi, in Molise, in Italia, le scuole non sono luoghi sicuri per chi le frequenta».
Dino Direnzo ha studiato a Roma, ma ha deciso che tornerà a San Giuliano di Puglia, perché lì ha capito cosa significa tenersi per mano, ricominciare, combattere la paura e superare gli incubi, quelle ombre che ancora fino alla vigilia del Natale scorso si sono riaffacciate con un’altra breve scossa di terremoto. Ma Dino e la sua generazione devono essere messi in condizione di cambiare rotta. «Altrimenti anche quelli come me se andranno per sempre e questo sarà il terremoto vero, definitivo».