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“Un richiamo per ricordare a tutti che il futuro dipende da ognuno di noi”, di Mario Calabresi – La Stampa 2.1.15

ANSA

«Gli scatoloni non sono mai tornati indietro, i miei libri sono tutti al Senato, sono oltre 3mila e sono là ad aspettarmi. Anche i vestiti erano stati portati a casa e li sono rimasti, l’altro giorno sono andato con mia moglie a prendere un abito più leggero visto che viene il caldo, ma di ritraslocare qui non ci ho mai pensato. L’Italia dovrà avere la maturità di eleggere un nuovo presidente perché non può permettersi di averne uno di novant’anni». Lo scorso aprile avevo incontrato Giorgio Napolitano nel suo studio ed ero rimasto colpito dall’assenza delle consuete pile di volumi sottolineati e appuntati, era il segno tangibile della provvisorietà ed eccezionalità del secondo mandato al Quirinale.

Un mandato non cercato e non voluto, tanto che, nel suo ultimo discorso pubblico, l’emozione non ha prevalso perché a vincere questa volta è stato un senso di sollievo. Quasi una liberazione da una carica accettata in un momento di emergenza, in giorni di sbandamento totale della politica solo per senso del dovere e senso di responsabilità.

Proprio quei due valori “desueti” che il Presidente ha indicato nel suo ultimo discorso come gli unici capaci di alimentare una riscossa del Paese.

Ora che siamo entrati nell’anno in cui raggiungerà il traguardo dei novanta ecco l’annuncio delle dimissioni, dettate non solo dall’idea di essere un capo dello Stato a tempo, quasi “in prestito”, ma anche dalla convinzione che non si possano sottovalutare i segni dell’affaticamento che aumentano ogni giorno e per non esporre la figura del Presidente ai rischi dell’età.

Napolitano aveva già pensato di lasciare lo scorso anno, la sua agenda per molto tempo si è fermata alle elezioni europee, dopo non c’era segnato più nulla. Poi una campagna elettorale infiammata in tutto il continente dal populismo e da quelli che l’altroieri sera ha liquidato come «i velleitari appelli all’abbandono dell’euro», una campagna che molto lo aveva preoccupato per la percezione di essere sull’orlo di un precipizio nella barbarie politica e civile, lo aveva convinto che l’Italia non avesse bisogno di un’ulteriore fibrillazione e che era opportuno garantire continuità e stabilità nel semestre di presidenza italiana.

Adesso siamo arrivati a quel traguardo e il suo nono discorso di fine anno è stato molto diverso dai precedenti, verrebbe da dire che tutto quello che aveva da dire l’aveva già detto. Questa volta è stato ben attento a non invadere il campo del suo successore, a non indicare le priorità politiche e istituzionali del Paese quando ci sarà qualcun altro a elencarle da qui a un mese.

Il suo discorso aveva un altro scopo, Napolitano voleva congedarsi, spiegare agli italiani che la sua elezione era stata frutto di una congiuntura eccezionale e che le dimissioni non avevano ragioni politiche ma personali. E soprattutto voleva ringraziare i cittadini e sottolineare che è stato un onore ricoprire la più importante delle cariche pubbliche.

Così il suo discorso non ha quasi mai avuto come interlocutori i politici – se non nell’appello a non sprecare la stagione delle riforme e a mostrare maturità preparandosi serenamente ad eleggere il suo successore – per il resto era davvero tutto rivolto ai cittadini comuni. Con l’idea che sia fondamentale ricordare che il futuro del Paese dipende da ognuno di noi, dalla somma dei comportamenti individuali e che l’idea di servizio non deve mai sembra aliena.

Per questo sono significativi gli esempi che ha portato, esempi di cittadini al servizio alla collettività, esempi positivi in un discorso pubblico che sembra vedere solo il negativo. Il marcio c’è, eccome, tanto che Napolitano ha preso in prestito una frase emersa dalle intercettazioni dell’ultima inchiesta sul sistema di corruzione mafiosa a Roma per parlare del “mondo di sotto”, quello opaco e criminale, e spronare a «bonificare il sottosuolo marcio e corrosivo della nostra società».

Ma dobbiamo anche riscoprire e valorizzare il «capitale umano» di cui disponiamo per non cadere in quella «indifferenza globale» denunciata da Papa Francesco. E qui Napolitano indica la strada con parole coraggiosamente desuete, non solo il senso del dovere ma anche la combattività e lo spirito di sacrificio. Certo parlare di spirito di sacrificio agli italiani che pensano di averne già fatti troppi di sacrifici in questa crisi può apparire azzardato, ma non è questo il problema per un uomo che sta per congedarsi dal più importante degli incarichi e che ha visto la Seconda guerra mondiale e sa che le società non si rimettono in piedi senza fatica e coraggio.

«Perché da ciascuno di voi – ha concluso – può venire un impulso importante per il rilancio e un nuovo futuro dell’Italia. Lo dimostrano quei giovani che non restano inerti – dopo aver completato il loro ciclo di studi – nella condizione ingrata di senza lavoro, ma prendono iniziative, si associano in piccoli gruppi professionali per fare innovazione, creare, aprirsi una strada».

Il messaggio agli italiani è chiarissimo, ora tocca alla classe politica mostrarsi all’altezza della sfida e del compito, nel momento in cui questo “presidente a tempo” si congeda per tornare finalmente alla sua casa e ai suoi libri.

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