La politica nel 2015 non si allontanerà molto dai percorsi del 2014.
Certo, ci attendono novità importanti. Anzitutto, un nuovo presidente del Repubblica. E poi, a maggio, le elezioni regionali. Ma difficilmente quelle politiche. (Anche se tutte le elezioni, in Italia, hanno significato “politico”.) Tuttavia, gli elementi di fondo dello scenario difficilmente cambieranno. I partiti: se ne sono andati, ormai, da tempo.
Lontani dalla società, dal territorio. E, infine, senza iscritti.
Ormai, sono rimasti solo alcuni leader. Soli.
Il 2014. È stato l’anno dell’antipolitica. E nel 2015 la scena sarà, probabilmente, la stessa.
Affollata di non-partiti o di antipartiti. Di anti-leader. Specializzati nella rottamazione, nell’antagonismo contro ogni altro leader e partito. Sindacato e associazione di categoria. Contro ogni autorità e istituzione.
Nazionale e globale e, ovviamente, europea. D’altronde, ormai, non c’è nessuna autorità e istituzione che disponga di consenso, in Italia. Sindaci e governatori, Comuni e Regioni, parlamentari, presidenti. Sindacati e Confindustria. Magistrati. Tutti hanno perduto fiducia tra i cittadini. Sempre più convinti che perfino la democrazia sia un optional. Un lusso.
Mentre la Rete è sempre più frequentata. Ma serve soprattutto controllare. Molto meno a elaborare e discutere progetti.
Oppure a decidere. È uno strumento di contro-democrazia: democrazia della sorveglianza.
Poi, c’è Matteo Renzi. Leader del post-Pd. Il Pdr. A capo del governo “personale” che guida da oltre 10 mesi. Ma Renzi è “solo”. Abituato a fare da “solo”. Unico leader di una maggioranza senza alternativa. Infine le riforme istituzionali. Necessarie. Ma quando verranno approvate? E, soprattutto, quando entreranno davvero in vigore? Non nel 2015.
Per questo il problema politico, nel 2015, è di ricostruire la “fiducia”. Nei partiti, nei sindacati, nei politici. Nella politica. Insomma, la vera questione politica dell’anno che inizia è la ricerca — e la ri/scoperta — della politica.