«Il Domenicale» ha recentemente sollecitato un maggiore spazio per l’insegnamento della Logica in due diversi contesti: negli Atenei (E. Bencivenga, 19/10) e nel sistema scolastico pre-universitario (E. Cattaneo e ancora Bencivenga, 30/11). Nel merito, non posso che esprimere pieno consenso, ma mi sembra necessario che tutti ci chiediamo se le carenze lamentate non siano l’effetto di un fenomeno molto generale, che va decisamente contrastato: la “logica” (mi scuso per il gioco di parole) che sacrifica, a tutti i livelli della formazione, ciò che non è rigorosamente monodisciplinare.
Nel mondo accademico la parcellizzazione del sapere ha un nome e una sigla: sono i mitici «settori scientifico-disciplinari» (SSD), a loro volta incasellati in Aree scientifiche rigorosamente separate. La logica viene addirittura spezzettata. Vi sono infatti, rispettivamente nell’Area matematico-informatica e in quella storico-filosofica, i SSD MAT/01 «Logica matematica» e M-FIL/02 «Logica e filosofia della scienza»: come se la logica matematica non avesse nulla a che fare con la filosofia, o se la scienza (e perciò la riflessione filosofica su di essa) non comprendesse la matematica. In questo periodo le Università registrano molte proteste contro elementi di burocratizzazione addebitati al Ministero e all’Agenzia di Valutazione ANVUR, ma l’irrigidimento della cultura nei SSD e nelle Aree a essi sovra-ordinate non è stato imposto dall’esterno: lo hanno voluto gli studiosi dei diversi settori, per creare barriere e presidiare i corrispondenti territori secondo leggi naturali note agli esperti di etologia.
Ciò penalizza l’avanzamento della ricerca, e in particolare le discipline di confine: la Logica rischia di essere considerata marginale, perché non al centro dei rispettivi interessi, da parte dei matematici da un lato, da parte dei filosofi dall’altro. È ben noto, invece, che le “nuove” scienze sono nate dalla contaminazione tra diverse “vecchie” scienze: se fisici e biologi non avessero interagito fortemente, oggi non ci sarebbe la biofisica. Altrettanto produttive di frutti positivi sono state alcune contaminazioni tra “umanisti” e “scienziati”: basti ricordare il dialogo tra linguisti e informatici.
Gli effetti dei settorialismi sono altrettanto negativi per la didattica, e sotto questo aspetto il discorso si estende all’intero sistema scolastico. Dal punto di vista degli studenti, ciò comporta non solo una minore qualità culturale, ma anche minori prospettive occupazionali: mai come oggi i datori di lavoro richiedono non conoscenze compartimentate, bensì “competenze” a spettro molto più ampio, o addirittura “trasversali”.
Nelle Università registriamo invece una progressiva riduzione degli elementi di interdisciplinarità negli ordinamenti dei Corsi di studio (Lauree e Lauree Magistrali). E, nei precedenti livelli scolastici, le proposte relative, ad esempio, a «cittadinanza e costituzione» si scontrano con la domanda: in quale materia si colloca? Come se l’essere un buon cittadino non dovesse comportare, congiuntamente, conoscere leggi (Diritto), analizzare il proprio territorio (Geografia), studiare il passato delle nostre società (Storia) e gli effetti delle acquisizioni scientifico-tecnologiche sulla sua attuale organizzazione (Scienze); e come se non fosse obiettivo di tutte le discipline, da insegnare perciò in termini non nozionistici, preparare lo studente a valutare criticamente le informazioni, ad argomentare le proprie deduzioni, a presentare le proprie affermazioni in forma linguisticamente corretta ed efficace.
Mi sembra risulti chiaro, da quanto sopra, che è “trasversale”, lungo l’intero sistema formativo, anche l’esigenza di ribaltare le attuali pericolose e illogiche scelte di frammentazione.
Ciò penalizza l’avanzamento della ricerca, e in particolare le discipline di confine: la Logica rischia di essere considerata marginale, perché non al centro dei rispettivi interessi, da parte dei matematici da un lato, da parte dei filosofi dall’altro. È ben noto, invece, che le “nuove” scienze sono nate dalla contaminazione tra diverse “vecchie” scienze: se fisici e biologi non avessero interagito fortemente, oggi non ci sarebbe la biofisica. Altrettanto produttive di frutti positivi sono state alcune contaminazioni tra “umanisti” e “scienziati”: basti ricordare il dialogo tra linguisti e informatici.
Gli effetti dei settorialismi sono altrettanto negativi per la didattica, e sotto questo aspetto il discorso si estende all’intero sistema scolastico. Dal punto di vista degli studenti, ciò comporta non solo una minore qualità culturale, ma anche minori prospettive occupazionali: mai come oggi i datori di lavoro richiedono non conoscenze compartimentate, bensì “competenze” a spettro molto più ampio, o addirittura “trasversali”.
Nelle Università registriamo invece una progressiva riduzione degli elementi di interdisciplinarità negli ordinamenti dei Corsi di studio (Lauree e Lauree Magistrali). E, nei precedenti livelli scolastici, le proposte relative, ad esempio, a «cittadinanza e costituzione» si scontrano con la domanda: in quale materia si colloca? Come se l’essere un buon cittadino non dovesse comportare, congiuntamente, conoscere leggi (Diritto), analizzare il proprio territorio (Geografia), studiare il passato delle nostre società (Storia) e gli effetti delle acquisizioni scientifico-tecnologiche sulla sua attuale organizzazione (Scienze); e come se non fosse obiettivo di tutte le discipline, da insegnare perciò in termini non nozionistici, preparare lo studente a valutare criticamente le informazioni, ad argomentare le proprie deduzioni, a presentare le proprie affermazioni in forma linguisticamente corretta ed efficace.
Mi sembra risulti chiaro, da quanto sopra, che è “trasversale”, lungo l’intero sistema formativo, anche l’esigenza di ribaltare le attuali pericolose e illogiche scelte di frammentazione.