L’ architettura è un’arte civica, ha a che fare con la comunità. C’è una cultura con la C maiuscola che non mi interessa. Non mi interessa la cultura elitaria, dei convivi, dei club, dei cenacoli. La cultura che mi interessa è quella che appartiene a tutti. È quella che ci appartiene in quanto europei. Il nostro è un paese di bellezze straordinarie, l’Italia è la casa della bellezza. C’è un giochino che potete fare a casa. Provate a guardare il Mare Mediterraneo senza l’Italia: è un grande lago. Ebbene, nel bel mezzo di questo lago, attraversato da tante culture diverse, è venuta ad adagiarsi l’Italia. Era naturale che una tale posizione privilegiata ci aiutasse a diventare la culla della cultura. Non si poteva fare altrimenti, era inevitabile.
La nostra storia poggia su una cultura profonda, una cultura che non possiamo disconoscere, che abbiamo sotto la pelle: è la bellezza del nostro Paese. Se ripenso al mio primo cantiere, al Beaubourg a Parigi, fatto insieme a Richard Rogers, capisco quali energie ci animavano. Avevamo poco più di vent’anni, era il 1971, tre anni dopo il Sessantotto, e in quel progetto la protesta era evidente. Inseguivamo qualcosa che rompesse la cultura imposta dall’alto. Allora pensammo di costruire questa gigantesca fabbrica: un cantiere enorme, al centro della piazza. Non mi sono mai sentito, neanche allora che ero giovanissimo, un semplice architetto ma un costruttore di luoghi di cultura, un amante della bellezza. La cultura, la frequentazione della bellezza, il sapere, ci rendono persone speciali. Qualsiasi lavoro facciate nella vita, ciò che vi renderà unici sarà la vostra dimensione culturale. E per cultura non intendo qualcosa di immobile, di istituzionale. La cultura è anche rompere i tabù, non può e non deve mai essere intimidente. Una volta esportavamo gli stili architettonici, ma oggi non è più così, oggi non esportiamo modelli formali ma un’idea di urbanità. Credo che la bellezza oggi sia nella trasparenza, nella luce. Attraverso la costruzione di un edificio si può rendere una città un luogo migliore, avvicinarla alla cultura. È quello che ho tentato di fare trent’anni fa quando ho costruito il museo di Houston, nel Texas, ed è quello che ispira costantemente il mio lavoro.
L’architettura, come la cultura, è sempre un’opera collettiva. Quanti operai ci vogliono per realizzare un progetto? All’aeroporto di Osaka hanno lavorato 10 mila operai. L’architettura è una strana cosa in cui la scienza, la tecnologia, l’arte e la comunità si fondono. Come nell’umanesimo. Ma è la gente a rendere i luoghi vivi. Dobbiamo sempre pensare i luoghi in funzione della gente. Pensate a cosa poteva essere Berlino dopo la caduta del muro, ci voleva un progetto che riunisse l’est e l’ovest. L’architettura deve essere capace di prodezze, richiede il lavoro di molti ed è destinata a molti.
Gli edifici costruiti per la cultura devono essere spazi della condivisione, spazi in cui avviene il miracolo della tolleranza. Il palazzo che ospita la sede del New York Times a New York è stato costruito dopo l’11 settembre, quasi come reazione alla tragedia dell’attentato.
Stare assieme, condividere i valori, capirsi. Sono questi i principi che ispirano la nostra cultura comune e devono ispirare l’architettura, che non è solo tecnica, non è solo costruzione, è anche poesia. Noi italiani, noi europei, possiamo fare tutto ciò perché poggiamo sulle spalle di un gigante: la cultura umanistica, un sapere complesso che unisce valori scientifici e artistici.
Ma come vengono le idee? A noi architetti vengono collettivamente. Un po’ alla volta, come una bolla di sapone che esce dalla cannuccia. A soffiare dalla cannuccia, però, non si è mai soli.
Essere europei, essere italiani, vuol dire avere il dono di comprendere la complessità delle cose, i chiaroscuri. Invece oggi nel nostro Paese sembra vincere un battage sulla demolizione dei valori .
Non dovete farvi prendere dallo sconforto, non fatevi demolire. Nella nostra cultura abbiamo un paracadute, uno strumento straordinario di sopravvivenza. Il nostro dna ha dentro la bellezza, la scienza, il senso della comunità. Anche il lavoro di rammendo delle periferie è un mestiere da umanista. Le periferie saranno le città del futuro. Così come negli anni Settanta e Ottanta abbiamo vinto la battaglia per la conservazione dei centri storici, oggi la nostra sfida è trasformare le periferie in città urbanizzate, fecondarle, portarci delle attività. L’architettura è prima di tutto un’arte civica, che ha a che fare con la comunità, la gente. Un’arte che tiene insieme tecnologia ed emozioni, scienza e poesia. Tutti gli aspetti della cultura umanistica, che è la nostra eredità, il nostro riparo. Voi siete involontari portatori di bellezza. Dovete saperlo e ricordarvelo, qualsiasi mestiere facciate, e non scoraggiarvi ma avere fiducia.