Se paragonate al resto della popolazione femminile mondiale, le donne italiane sembrerebbero non cavarsela male in fatto di discriminazione di genere. La buona notizia è infatti che secondo l’Ocse, che ha appena pubblicato un aggiornamento dell’indice Sigi (Social Institutions and Gender Index) estendendolo a 160 nazioni, l’Italia fa parte del gruppo dei paesi in cui la disparità uomo donna è più attenuata. “Very low” è il livello di disuguaglianza riscontrato da noi e in altri 15 paesi sia europei che non (c’è per esempio Cuba, l’Argentina, la Repubblica Ceca, e la Mongolia). Tradotto, significa che qui le donne possono «contare su misure che forniscono uguali diritti all’interno della famiglia e nell’accesso alle risorse, e che ne promuovono le libertà civili» spiega il report.
Sono cinque gli indicatori misurati. Si analizzano i codici familiari («norme giuridiche o sociali che limitino le capacità decisionali delle donne»), le restrizioni all’integrità fisica (ad esempio «nell’autonomia riproduttiva») o nell’accesso alle risorse, nel caso in cui il sesso femminile «trovi difficoltà a usufruire di alcuni servizi senza la mediazione di un uomo». Si indaga poi nell’applicazione delle libertà civili e nella perpetrazione di una cultura che favorisca la discendenza maschile. Su ciascuno di questi fronti l’Italia esce promossa a pieni voti (almeno sulla carta, essendo l’indagine basata sugli usi e costumi di un paese estrapolati attraverso le maglie del suo sistema legislativo). Non ci sarebbe traccia secondo i dati Ocse di discriminazioni nelle abitudini familiari o nelle opportunità offerte al genere femminile anche nella partecipazione alla vita pubblica. Anzi l’Italia è perfino citata come esempio di best practice per la promozione della leadership femminile. Merito della scelta di lanciare anni fa – su input dell’ultimo ministero per le Pari opportunità oggi retrocesso a mero dipartimento – il programma Donne, Politica e Istituzioni, che avviò in 41 atenei corsi gratuiti per l’insegnamento del management politico.
Ed è proprio qui che il quadro italiano comincia ad appannarsi, e si fa strada un paradosso. L’Italia non brilla affatto per presenza in politica delle donne. Non bastano le quote rosa, pur presenti sia «nelle istituzioni nazionali che in quelle locali». Nel Parlamento italiano «siede il 30% delle donne» rileva l’Ocse, una quota più ristretta rispetto a quella dei paesi più avanzati. «I sindaci italiani sono rappresentati da 7238 uomini e 789 donne». Una disomogeneità che si ripete nei consigli e nelle giunte regionali (occupati da 86mila e mille uomini rispettivamente contro 19mila e 118 seggi femminili). Tanto che, sottolinea il report, «tranne rare eccezioni non ci sono mai stati leader politici in Italia di sesso femminile, né capi di Stato o presidenti del Consiglio donna». La politica resta quindi per lo più cosa da uomini, tanto che a superarci in questo campo sono diversi altri paesi Ocse tra cui Usa, Uk, Francia, Portogallo.
Non rassicura neppure il resoconto sulla violenza domestica, «presente nel 19 per cento delle relazioni di coppia secondo uno studio dell’Agenzia per i diritti umani, e con un tasso di 120 donne uccise nel solo 2012». L’incidenza è più bassa che in Germania (22), Belgio (24) e Regno Unito (29), ma potrebbe esserci una grande sottostima della realtà dovuta «alla vergogna provata dalle donne nel riconoscere questo tipo di abusi» evidenzia l’indice. Retaggi culturali dunque, gli stessi che fanno ritenere «accettabile al 7% di italiani la violenza dentro le mura domestiche in determinate circostanze».
Che in Italia la strada verso l’effettiva parità uomo donna fosse ancora lunga lo aveva documentato anche un altro studio, il Global Gender Gap del World Economic Forum. I miglioramenti ci sono, era l’assunto, ma per il raggiungimento dell’uguaglianza assoluta in termini di occupazione e salari ci vorranno altri 81 anni (per parità salariale siamo 129esimi). Non a caso tra i paesi che spiccano per basse percentuali di discriminazione l’Italia si attesta in settima posizione, sotto paesi più arretrati come la Serbia e l’Argentina. Forse perfino facilitata dal fatto che dalla classifica siano esclusi diversi big dell’Occidente come la Germania, il Regno Unito e gli Stati Uniti per «non aver apportato dati a sufficienza», fanno sapere i responsabili del Sigi. Sopra di noi si posizionano Spagna, Slovenia e Francia, mentre va al Belgio la medaglia d’oro come paese che tratta meglio la popolazione femminile. Ricorda la ricerca che nel paese nordeuropeo «la violenza domestica è reato», al pari delle molestie sessuali, combattute con una serie di leggi che ne hanno aggravato le pene. Qui le donne occupano il 40% dei seggi in Parlamento e la metà dei posti di governo. Un eldorado lontano anni luce dalla drammatica condizione rilevata dall’indice Sigi nel resto del mondo, specie quello in via di sviluppo. Visti da questa prospettiva anche i problemi dell’Italia si ridimensionano: in media il 16% delle minorenni dei paesi extra Ocse è già sposato (il 60% in Niger). Il lavoro di cura continua a essere appannaggio delle donne, che tendono a dedicargli il triplo del tempo rispetto agli uomini (in Pakistan la moltiplicazione va fatta per dieci). Nel complesso solo un parlamentare su cinque è di sesso femminile, e circa un terzo delle donne è stato vittima di qualche forma di violenza nel corso della vita. Ammontano invece a 90 milioni le disperse di tutto il mondo (di cui l’80% di origine cinese e indiana).