In Russia servono a proteggere le pipeline dal gelo, in Arabia Saudita a estrarre petrolio pulito. In India e Cina, soppianteranno il carbone coi suoi fumi ammorbanti. E negli Stati Uniti scongiureranno i blackout dovuti agli uragani.
Sono moltissime le applicazioni delle celle a combustibile a ossidi solidi; appena sette al mondo, invece, le aziende produttrici. Tre in Europa, una in Italia. Dal piccolo Bic di Mezzolombardo, a nord di Trento, la Sofcpower guarda il pianeta come un medico che ha in borsa la pillola per regolare la febbre del paziente. Sette anni fa era un’idea, ora comincia la produzione in serie delle caldaie a cogenerazione: calore ed elettricità da micro-impianti al servizio di una palazzina, una piscina, un ristorante.
«Abbiamo iniziato nel 2007, prima della crisi. Ma l’abbiamo attraversata continuando ad assumere ogni anno», dice orgoglioso Alberto Ravagni, ceo della società. Dopo la laurea in Ingegneria a Trento, nel 1991, comincia a girare il mondo nel settore automotive: Germania, Usa e Svizzera, dove trova moglie e si ferma. L’incontro che gli cambia la vita professionale, invece, lo fa nel 2006 in un altro Bic trentino, a Pergine.
Qui un imprenditore di Parma, Nelso Antolotti, si è appena trasferito perché produrre turbine non lo appaga: vuole realizzare le turbine del futuro e fonda la Eurocoating, attirato dagli incentivi alla ricerca della Provincia autonoma. Ravagni e Antolotti si consultano con il fisico Fabio Ferrari, ex rettore dell’ateneo di Trento, che li aiuta a disegnare la loro scommessa. Nel 2007 fondano la Sofcpower, si insediano nel Bic di Mezzolombardo e assumono quattro dipendenti dalla Eurocoating per accelerare lo sviluppo delle celle a combustibile a ossidi solidi, acquisendo nel frattempo la tecnologia da uno spin off del Politecnico di Losanna.
E i soldi? «Abbiamo iniziato partecipando a un progetto europeo da otto milioni di euro, di cui la metà cofinanziati dal Trentino — spiega Ravagni — Da allora abbiamo attirato in tutto 60 milioni di investimenti, soprattutto privati dall’estero. In Italia, purtroppo, manca questa cultura». Nel 2008 parte la produzione pilota, con uno sviluppo costoso e lungo: «Oggi — rimarca il ceo — il team tra Italia e Svizzera è di 70 persone».
Le celle a combustibile a ossidi solidi sono generatori di calore ed elettricità. «Caldaie che producono anche corrente — semplifica Ravagni — e hanno un’efficienza del 90%. Sprecano solo il 10% dell’energia immessa, mentre le caldaie attuali ne buttano dal 50 al 65%. Funzionano con carburante tradizionale: metano, biometano, rifiuti gassificati. Ma anche con l’idrogeno. La peculiarità è che non bruciano gas e non hanno parti in movimento».
L’assenza di combustione evita la produzione di ossidi di azoto e di zolfo, che inquinano; la reazione genera solo acqua e anidride carbonica, che può essere stoccata e riutilizzata, oppure emessa in atmosfera. «In tal caso — spiega il ceo — se ne libera fino al 40% in meno rispetto alla caldaia classica, perché l’altissima efficienza consente di usare meno metano e risparmiare sulla bolletta. In India c’è molto interesse: il governo vuole abbassare le emissioni sostituendo l’uso del carbone con la rete a gas; inoltre molti indiani avranno corrente per più delle attuali tre ore al giorno. Anche la Cina intende aumentare l’efficienza per ridurre lo smog».
Ancora più interessante è l’utilizzo in Arabia Saudita: «Una centrale a celle a combustibile vicina ai giacimenti di petrolio consente di produrre corrente e riutilizzare la CO2 iniettandola nei pozzi per mantenerne alta la pressione: si estrae petrolio senza inquinare, perché l’anidride carbonica non va in atmosfera», chiarisce Ravagni. In Russia e Canada, invece, la cogenerazione è applicata alle pipeline del gas: il calore prodotto protegge i tubi dal gelo, la corrente invece attiva le antenne di monitoraggio dei tubi in aree senza elettricità.
«Negli Usa, infine, ci si sta affidando al gas perché la rete elettrica è vulnerabile; in caso di uragani le centrali a cogenerazione evitano il blackout, soprattutto per i data center», spiega.
In Trentino sono già stati consegnati i primi dispositivi. «E stiamo pianificando il secondo impianto di produzione», conclude il ceo.
«Abbiamo iniziato nel 2007, prima della crisi. Ma l’abbiamo attraversata continuando ad assumere ogni anno», dice orgoglioso Alberto Ravagni, ceo della società. Dopo la laurea in Ingegneria a Trento, nel 1991, comincia a girare il mondo nel settore automotive: Germania, Usa e Svizzera, dove trova moglie e si ferma. L’incontro che gli cambia la vita professionale, invece, lo fa nel 2006 in un altro Bic trentino, a Pergine.
Qui un imprenditore di Parma, Nelso Antolotti, si è appena trasferito perché produrre turbine non lo appaga: vuole realizzare le turbine del futuro e fonda la Eurocoating, attirato dagli incentivi alla ricerca della Provincia autonoma. Ravagni e Antolotti si consultano con il fisico Fabio Ferrari, ex rettore dell’ateneo di Trento, che li aiuta a disegnare la loro scommessa. Nel 2007 fondano la Sofcpower, si insediano nel Bic di Mezzolombardo e assumono quattro dipendenti dalla Eurocoating per accelerare lo sviluppo delle celle a combustibile a ossidi solidi, acquisendo nel frattempo la tecnologia da uno spin off del Politecnico di Losanna.
E i soldi? «Abbiamo iniziato partecipando a un progetto europeo da otto milioni di euro, di cui la metà cofinanziati dal Trentino — spiega Ravagni — Da allora abbiamo attirato in tutto 60 milioni di investimenti, soprattutto privati dall’estero. In Italia, purtroppo, manca questa cultura». Nel 2008 parte la produzione pilota, con uno sviluppo costoso e lungo: «Oggi — rimarca il ceo — il team tra Italia e Svizzera è di 70 persone».
Le celle a combustibile a ossidi solidi sono generatori di calore ed elettricità. «Caldaie che producono anche corrente — semplifica Ravagni — e hanno un’efficienza del 90%. Sprecano solo il 10% dell’energia immessa, mentre le caldaie attuali ne buttano dal 50 al 65%. Funzionano con carburante tradizionale: metano, biometano, rifiuti gassificati. Ma anche con l’idrogeno. La peculiarità è che non bruciano gas e non hanno parti in movimento».
L’assenza di combustione evita la produzione di ossidi di azoto e di zolfo, che inquinano; la reazione genera solo acqua e anidride carbonica, che può essere stoccata e riutilizzata, oppure emessa in atmosfera. «In tal caso — spiega il ceo — se ne libera fino al 40% in meno rispetto alla caldaia classica, perché l’altissima efficienza consente di usare meno metano e risparmiare sulla bolletta. In India c’è molto interesse: il governo vuole abbassare le emissioni sostituendo l’uso del carbone con la rete a gas; inoltre molti indiani avranno corrente per più delle attuali tre ore al giorno. Anche la Cina intende aumentare l’efficienza per ridurre lo smog».
Ancora più interessante è l’utilizzo in Arabia Saudita: «Una centrale a celle a combustibile vicina ai giacimenti di petrolio consente di produrre corrente e riutilizzare la CO2 iniettandola nei pozzi per mantenerne alta la pressione: si estrae petrolio senza inquinare, perché l’anidride carbonica non va in atmosfera», chiarisce Ravagni. In Russia e Canada, invece, la cogenerazione è applicata alle pipeline del gas: il calore prodotto protegge i tubi dal gelo, la corrente invece attiva le antenne di monitoraggio dei tubi in aree senza elettricità.
«Negli Usa, infine, ci si sta affidando al gas perché la rete elettrica è vulnerabile; in caso di uragani le centrali a cogenerazione evitano il blackout, soprattutto per i data center», spiega.
In Trentino sono già stati consegnati i primi dispositivi. «E stiamo pianificando il secondo impianto di produzione», conclude il ceo.