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"La forza pubblica del «familismo morale»", di Gabriella Turnaturi – Il Sole 24 Ore 09.11.14

Può esistere in Italia un familismo morale? Una declinazione del legame familiare che scavalchi il giardino segreto del privato e si apra alla sfera pubblica? Le parole di Ilaria Cucchi e il suo impegno sembrano testimoniare come da quell’impasto di emozioni, vincoli, interessi che è la famiglia possano nascere parole e azioni che riguardano tutta la collettività. A dispetto del conosciuto e abusato «familismo amorale» coniato da Banfield, la storia di familiari che irrompono nella sfera pubblica e nel discorso pubblico italiano è lunga e densa. Inizia negli anni Ottanta con la nascita delle associazioni di familiari delle vittime di stragi (Bologna, piazza Fontana, piazzale della Loggia, Italicus, Ustica) e arriva sino ai nostri giorni con gli interventi e le mobilitazioni dei familiari di Aldrovandi, Uva e Cucchi. In nome degli affetti familiari, genitori, ma soprattutto, madri, figlie e sorelle, hanno dedicato il loro tempo e la loro vita a richiedere verità e giustizia non solo per i loro cari ma per tutti i cittadini.
«Non che ti rivolti solo per amore – scriveva Licia Pinelli nel 1982 quando in Italia cominciava a farsi sentire la voce dei familiari – se è solo amore, rimani schiacciata dal dolore, reagisci per una questione di giustizia». A partire dal privato si rivendica rispetto di diritti e valori validi per tutti e la rete affettiva, il legame familiare diviene risorsa per agire nel pubblico e per esercitare la propria cittadinanza. Per questi familiari il dolore non produce separazione, chiusura, rancore o desiderio di vendetta, ma scelta della voce e di connessione con gli altri cittadini. Le loro richieste s’impongono all’attenzione pubblica non solo perché fortemente connotate dalle emozioni e perché smuovono emozioni, ma perché svuotano il discorso pubblico di ogni retorica e lo riempiono di esperienze vissute, perché parlano di diritti concreti, perché pongono domande di senso.
Non è il familismo tradizionale a dare coraggio e forza a Ilaria Cucchi e agli altri familiari, ma un’etica della responsabilità che muove da una idea di sé come fatto di relazioni, di legami sociali, da un’etica della responsabilità individuale e collettiva. C’è una intuizione e una consapevolezza morale che spinge a far sentire la propria voce su temi e diritti, ragioni ed emozioni sui quali non si può tacere. Altrimenti l’offesa alla propria identità sarebbe insopportabile. Perché persone abitualmente fuori dal discorso pubblico decidono di irrompere e di far sentire la propria voce se non in nome della propria dignità?
In situazioni drammatiche, come la morte non spiegata e non spiegabile di un familiare, viene alla luce quel nucleo di affettività e di solidarietà che è antico ma al tempo stesso innovativo per l’esercizio di una cittadinanza attiva e responsabile. La richiesta di verità e giustizia avanzata da questi familiari è antica e modernissima perché è resa possibile dall’ampliarsi della sfera pubblica e dei suoi accessi, dal moltiplicarsi della comunicazione e dei suoi media. Ciò che trasforma il particolarismo e l’individualismo in esercizio della cittadinanza e nella difesa di diritti collettivi non è la riscoperta di buoni sentimenti, o dell’uso manipolatore e manipolato delle emozioni ma una declinazione della propria dignità e del legame sociale permessa proprio dallo sviluppo di una sfera pubblica che nonostante tutto fornisce risorse, motivazioni all’azione, modi di reinterpretare la propria identità come privata e pubblica come individuale e collettiva. In questa doppia anima fatta di affettività e partecipazione al discorso e alla sfera pubblica sta la modernità della mobilitazione dei familiari. Nella loro attivazione interesse individuale e impegno collettivo coincidono e si forma un luogo di mediazione fra pubblico e privato, fra emozioni e ragioni. Qui sta l’innovazione culturale e politica a cui bisognerebbe fare più attenzione, andando oltre le singole vicende e schieramenti di parte. Ed è per questo che dovremmo essere grati ai familiari e dovremmo prestare molta e continua attenzione alle domande che questi familiari caparbiamente continuano a porre a tutta la collettività.