attualità, cultura, scuola | formazione

"Generosi, semplici, di successo. Ecco gli eroi della normalità", di Elisabetta Rosaspina – Corriere della Sera 05.11.14

Che una buona notizia faccia notizia potrebbe già essere, di per sé, una cattiva notizia. Notizia, in quasi tutte le redazioni del mondo, è qualcosa di notevole perché inatteso, sorprendente o, per enfatizzare un po’, clamoroso. Funziona soprattutto se suscita angoscia, rabbia e magari orrore. Ma siccome sangue, indignazione e paura hanno il difetto di provocare assuefazione, capita che il dosaggio richiesto debba aumentare. E aumenti. 
Le buone notizie, si è creduto finora, perdono la gara con quelle cattive perché rispecchiano una realtà banale: non vendono, non generano traffico online, non scatenano dibattiti, non scaldano Facebook e Twitter. Ma se si scopre che, senza voler molestare De Amicis, scaldano i cuori e addolciscono l’umore quotidiano, ecco che una dose diventa necessaria, come un piccolo spot rinfrescante, durante il film dell’attualità che inizia e finisce con un prevedibile «mal»: malcostume, malgoverno, malfunzionamento, malasanità, malavita, maleducazione, malcontento. Quando proprio non è colpa di nessuno: maltempo.
«Buone notizie», ovvero «Storie di un’Italia controcorrente nelle pagine del Corriere della Sera », il volume curato dal vicedirettore Giangiacomo Schiavi, ne riunisce 79, pubblicate sul giornale e sull’omonimo blog del Corriere.it , del cui eterogeneo equipaggio fanno parte scrittori come Andrea Camilleri ed Erri de Luca, sacerdoti battaglieri, come don Gino Rigoldi e don Antonio Mazzi, attori come Maria Grazia Cucinotta e Giobbe Covatta, e molti giornalisti. Contribuiscono tutti, regolarmente, a rifornire quell’armadietto di pronto soccorso dal quale attingere l’antidoto alla ordinaria malvagità.
«Controcorrente» non è una definizione casuale; e lo si capisce fin dalle prime pagine dedicate «agli eroi della normalità», perché sono proprio le parole del maestro dei bastian contrari del giornalismo italiano, Indro Montanelli, a spiegare l’impari battaglia per la notorietà tra fatti edificanti e ladrocini, pace e guerra, galantuomini e malfattori.
«Prendiamo un argomento qualunque: la scuola — proponeva Montanelli —. Un professore non dovrebbe costituire una notizia, se si presenta regolarmente in classe; se fugge a Las Vegas con la bidella, lo diventa. Se le pagine milanesi del Corriere talvolta ignorano la scuola, vuol dire che quel giorno il provveditorato non si è fatto venire strane idee, i professori hanno compiuto il proprio dovere, le bidelle pure e sui voli per las Vegas ci sono ancora posti disponibili».
Aveva ragione quando si dichiarava pronto ad ammettere che «in Italia i bravi ragazzi sono più numerosi dei delinquenti, ma i quotidiani non possono pubblicare ogni giorno nomi e cognomi di quelli che non hanno rubato in casa, non hanno picchiato i genitori, non hanno ingerito droga e non si sono rotti la testa in automobile». E aveva ragione a non rallegrarsi di fronte al sensazionalismo della normalità: «Vuol dire che essere normali, in questo Paese, è diventato eroico».
Ma che ci fosse un’Italia invisibile e tenace sulla sua retta via, meritevole di più attenzione, l’aveva capito un altro grande direttore, Candido Cannavò, dimostrando un fiuto eccezionale quando si trattava di scovare una ballerina, pittrice e scrittrice senza braccia, Simona Atzori («e la chiamano disabile!»), o «pretacci» capaci di strappare adepti alla ‘ndrangheta e Maddalene al marciapiede. C’è una morale, sì, ma non sono favole.
Non è una favola, la storia di Marco Gasperetti sul clandestino cinese Yan che, per primo, ha osato rompere il muro di omertà attorno alla Chinatown degli sfruttatori di una fabbrica fantasma, a Prato. Una pressa a caldo per etichette gli ha spappolato una mano, ma sono state le minacce dei suoi negrieri, se avesse parlato, a spingerlo ad andare alla polizia. Normale? Mica tanto, se il compenso alla fine è una vita sotto scorta.
Anche laurearsi a 28 anni in Scienze della formazione e del servizio sociale non ha niente di epico, a meno di essere autistico, come nel caso di Andrea Paolucci. Non è una favola, ma chissà che non diventi un esempio la sua tesi da 110 e lode, intitolata «La mia vita nel Pozzo». Soprattutto per come è stata scritta. E discussa: racconta Nico Falco che la seduta di laurea si è svolta tramite la proiezione di tabelle e grafici e Andrea ha risposto alle domande attraverso la messaggistica istantanea. Difficile immaginarne un uso migliore.
Perfino l’economia, di questi tempi, fornisce buone notizie. A Luca Mattiucci, quella di una storica casa editrice risorta a Scampia grazie all’ex scugnizzo Rosario Esposito. A Davide Illarietti, quella di Enzo Muscio che ha impegnato la casa e tutti i suoi risparmi per riaprire l’azienda che lo aveva licenziato prima di fallire: «Ora è lui il titolare e ha ridato il lavoro a una ventina di colleghi». Questa, forse, Montanelli l’avrebbe messa in prima pagina.