Ho capito che qualcosa non andava domenica 12 ottobre, durante una lettura pubblica dei giornali organizzata al Museo Diocesano di Milano. Ho domandato ai presenti: «Quanti sono, secondo voi, gli immigrati in Italia?». Sguardi interrogativi, qualche sorriso imbarazzato. «Chi pensa rappresentino metà della popolazione, alzi la mano». Con mia grande sorpresa, diverse mani alzate. «Chi ritiene siano il 30%?». Altre mani alzate. «Chi crede, invece, che gli immigrati rappresentino il 15% degli abitanti?». Ancora mani alzate.
In realtà, gli immigrati in Italia costituiscono il 7% della popolazione.
Ad ascoltare la lettura dei giornali la domenica mattina, in un museo di Milano, vanno persone istruite e informate: eppure. Non è superficialità né sciatteria. Non dipende da scarsa dimestichezza con numeri e statistiche. Si tratta, invece, di una percezione sbagliata. Anzi, di una trasposizione: le preoccupazioni diventano realtà.
Non sono rimasto stupito, perciò, quando ho letto i risultati di un sondaggio Ipsos Mori, condotto in 14 Paesi. Titolo: The Ignorance Index . Questo «indice dell’ignoranza» vede noi italiani ingloriosamente primi. Meglio di noi Usa, Corea del Sud, Polonia, Ungheria, Francia, Canada, Belgio, Australia, Gran Bretagna, Spagna, Giappone, Germania, Svezia (la nazione più informata).
Qualche esempio delle risposte in Italia? «Quanti sono i musulmani residenti?». Risposta: il 20% della popolazione! (in verità sono il 4%). «Quanti sono gli immigrati?» Risposta: 30% (in realtà 7%). «Quanti i disoccupati?» Risposta: 49% (in effetti 12%). «Quanti i cittadini con più di 65 anni?». Risposta: 48% (sono il 21%, e già assorbono una fetta sproporzionata della spesa sociale).
Sono dati allarmanti. Perché la discussione pubblica italiana parte di qui: da una somma di percezioni clamorosamente sbagliate. La politica — che pure dovrebbe conoscere la situazione — non si premura di ripetere i dati corretti. Usa la nostra ignoranza, invece. Ci costruisce sopra proposte, programmi, allarmi, proteste. Immaginate Matteo Salvini che, davanti una distesa di bandiere verdi, proclama: «Gli immigrati in Italia sono solo il 7%! I musulmani il 4%!». Calma, fratelli leghisti. Non lo farà mai. Le sue fortune politiche sono costruite sull’ansia. Tutto ciò che concorre ad aumentarla è benvenuto.
Non c’è solo la Lega, non c’è solo l’immigrazione e non c’è solo l’Italia, ovviamente. Prendiamo il numero delle gravidanze durante l’adolescenza. Gli americani pensano che il fenomeno interessi il 25% delle teenager : in pratica che un’adolescente su quattro, ogni anno, metta al mondo un figlio! Il dato corretto è 3% (allarmante, ma non catastrofico). Prendiamo gli omicidi. Il 49% della popolazione nei Paesi esaminati pensa siano in aumento, il 27% crede siano in diminuzione. In effetti gli omicidi sono in calo ovunque. Ma se gli elettori pensano il contrario, state certi: qualcuno incoraggerà queste paure e ci costruirà sopra un programma politico.
I media hanno responsabilità, ovviamente: se informiamo male, o non informiamo, la gente rischia di credere alla prima sciocchezza che sente. Ma non è solo colpa dei media. Spesso si tratta di quella che gli psicologi chiamano «ignoranza razionale»: si decide di non voler sapere. Pensate a certi quotidiani o a certi commentatori. Chi li legge/li ascolta/li guarda non vuol essere informato: chiede solo di essere confermato nei propri pregiudizi.
I pregiudizi, infatti, rassicurano: evitano il fastidio del dubbio. Le idee confuse consolano: permettono di lamentarsi senza protestare, di commiserarsi senza impegnarsi. «Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno», cantava Francesco Guccini. Ma in quella canzone, Incontro , si racconta di amanti sensibili e rassegnati, non di cittadini emotivi e disinformati. La fine di una coppia, non il declino di una nazione.
Ad ascoltare la lettura dei giornali la domenica mattina, in un museo di Milano, vanno persone istruite e informate: eppure. Non è superficialità né sciatteria. Non dipende da scarsa dimestichezza con numeri e statistiche. Si tratta, invece, di una percezione sbagliata. Anzi, di una trasposizione: le preoccupazioni diventano realtà.
Non sono rimasto stupito, perciò, quando ho letto i risultati di un sondaggio Ipsos Mori, condotto in 14 Paesi. Titolo: The Ignorance Index . Questo «indice dell’ignoranza» vede noi italiani ingloriosamente primi. Meglio di noi Usa, Corea del Sud, Polonia, Ungheria, Francia, Canada, Belgio, Australia, Gran Bretagna, Spagna, Giappone, Germania, Svezia (la nazione più informata).
Qualche esempio delle risposte in Italia? «Quanti sono i musulmani residenti?». Risposta: il 20% della popolazione! (in verità sono il 4%). «Quanti sono gli immigrati?» Risposta: 30% (in realtà 7%). «Quanti i disoccupati?» Risposta: 49% (in effetti 12%). «Quanti i cittadini con più di 65 anni?». Risposta: 48% (sono il 21%, e già assorbono una fetta sproporzionata della spesa sociale).
Sono dati allarmanti. Perché la discussione pubblica italiana parte di qui: da una somma di percezioni clamorosamente sbagliate. La politica — che pure dovrebbe conoscere la situazione — non si premura di ripetere i dati corretti. Usa la nostra ignoranza, invece. Ci costruisce sopra proposte, programmi, allarmi, proteste. Immaginate Matteo Salvini che, davanti una distesa di bandiere verdi, proclama: «Gli immigrati in Italia sono solo il 7%! I musulmani il 4%!». Calma, fratelli leghisti. Non lo farà mai. Le sue fortune politiche sono costruite sull’ansia. Tutto ciò che concorre ad aumentarla è benvenuto.
Non c’è solo la Lega, non c’è solo l’immigrazione e non c’è solo l’Italia, ovviamente. Prendiamo il numero delle gravidanze durante l’adolescenza. Gli americani pensano che il fenomeno interessi il 25% delle teenager : in pratica che un’adolescente su quattro, ogni anno, metta al mondo un figlio! Il dato corretto è 3% (allarmante, ma non catastrofico). Prendiamo gli omicidi. Il 49% della popolazione nei Paesi esaminati pensa siano in aumento, il 27% crede siano in diminuzione. In effetti gli omicidi sono in calo ovunque. Ma se gli elettori pensano il contrario, state certi: qualcuno incoraggerà queste paure e ci costruirà sopra un programma politico.
I media hanno responsabilità, ovviamente: se informiamo male, o non informiamo, la gente rischia di credere alla prima sciocchezza che sente. Ma non è solo colpa dei media. Spesso si tratta di quella che gli psicologi chiamano «ignoranza razionale»: si decide di non voler sapere. Pensate a certi quotidiani o a certi commentatori. Chi li legge/li ascolta/li guarda non vuol essere informato: chiede solo di essere confermato nei propri pregiudizi.
I pregiudizi, infatti, rassicurano: evitano il fastidio del dubbio. Le idee confuse consolano: permettono di lamentarsi senza protestare, di commiserarsi senza impegnarsi. «Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno», cantava Francesco Guccini. Ma in quella canzone, Incontro , si racconta di amanti sensibili e rassegnati, non di cittadini emotivi e disinformati. La fine di una coppia, non il declino di una nazione.