Riusciranno ad averla forse le ragazze che nasceranno tra mezzo secolo, ma intanto la parità sul lavoro tra donne e uomini è ancora ben lontana. L’ultimo rapporto del World Economic Forum sul «Gender Gap», la disuguaglianza tra i generi, lascia poche speranze: a questi ritmi ci vorranno 81 anni per superarla in tutto il mondo. Bisognerà cioè aspettare il 2095. Salvo peggioramenti. Brutte notizie, visto che oltre ad essere un problema di giustizia sociale è uno degli ostacoli maggiori alla crescita economica: «Solo le economie che possono impiegare tutti i loro talenti rimarranno competitive e riusciranno a prosperare», avverte il fondatore e presidente del World Economic Forum, Klaus Schwab. Oggi sono 14 i Paesi al mondo che hanno superato per oltre l’80% le disparità lavorative tra uomini e donne. Tra questi ci sono la Norvegia, gli Stati Uniti, la Danimarca e l’Islanda, ma anche il Burundi, il Malawi e la Moldavia. Non l’Italia, che invece è 114esima su 142, con solo il 57% del «gap» recuperato. Ed è quindi ben lontana dal valorizzare tutti i suoi talenti. Certo, l’indice misura la disparità tra uomini e donne nella partecipazione alla forza lavoro, nella remunerazione a parità di carriera e nella presenza tra i legislatori e i dirigenti, e quindi non dice (bisogna tenerlo bene a mente) che le donne del Burundi hanno condizioni e opportunità lavorative migliori di quelle italiane. Ma che, data la situazione economica del nostro Paese, potremmo fare molto di più. La partecipazione delle donne alla vita economica, infatti, è uno dei fattori che più ci penalizza: lavora meno della metà delle italiane. Il messaggio è chiaro: servono misure che aiutino le donne a entrare (e andare avanti) nel mercato del lavoro. A cominciare dal sostegno alle madri che lavorano, asili compresi: perché sono loro quelle più penalizzate. Secondo Bankitalia una mamma su cinque lascia il proprio impiego dopo un anno e mezzo dalla nascita dei figli (in particolare le giovani sotto i 24 anni e quelle con livelli di istruzione più bassi). E in generale il tasso di occupazione femminile è inversamente proporzionale al numero dei bambini. Il paradosso è che rispetto all’anno scorso l’Italia è peggiorata: nel 2013 era 97esima su 136 Paesi, mentre adesso è scivolata di ben 17 posizioni. Segno che non solo non abbiamo fatto abbastanza: abbiamo fatto meno degli altri. C’è un altro indicatore che penalizza l’Italia: la partecipazione politica delle donne. Qui la disparità di genere è stata superata solo per il 24%, contro il 65% dell’Islanda o il 61% della Finlandia. Eppure qualche segnale positivo c’è: quest’anno siamo al 37esimo posto contro il 44esimo di dodici mesi fa. Sono aumentate infatti le donne in Parlamento e al governo. C’è da sperare che abbia ragione il fondatore del World Economic Forum Klaus Schwab, quando dice che se le donne sono più coinvolte nei processi decisionali prendono decisioni che rispondono di più ai bisogni delle donne.
Pubblicato il 28 Ottobre 2014