CERVIA (RAVENNA) .
Entri in stazione e senti i profumi di maccheroni al ragù, di arrosto di maiale, di frittate con la cipolla. Odori di cibo come negli anni Cinquanta e Sessanta, quando alla stazione di Bologna i camerieri in giacca bianca consegnavano cestini con lasagne calde ai viaggiatori affacciati ai finestrini.
A volte ritornano, i profumi. Nell’ex Dlf, Dopolavoro ferroviario, adesso c’è un ristorante che si chiama “Mensa Amica”. Settanta pasti al giorno, serviti gratuitamente a chi si presenta. «È una mensa per chi è in difficoltà — dice Silvia Berlati, che guida questo ristorante accanto ai binari — non una mensa dei poveri. Anche la solitudine è una difficoltà. Arrivano qui gli anziani che vivono soli e vogliono mangiare in compagnia. Poi magari, come è successo a P., la nostra prima “cliente”, diventano anche loro volontari».
“Impresenziate”, si chiamano queste stazioni dove i ferrovieri sono scomparsi. Un altoparlante che annuncia arrivi e partenze, nessun berretto rosso da capostazione, una macchinetta che ha rubato il posto ai bigliettai. «In questo momento — dice Ilaria Maggiorotti di Rfi, Rete ferroviaria italiana — abbiamo a disposizione 1.900 stazioni abbandonate. Possono essere richieste da chi vuole farle rivivere, soprattutto da associazioni di volontariato, con la garanzia dei Comuni. Il comodato è gratuito, i lavori di ristrutturazione e manutenzione sono a carico di chi chiede gli spazi».
Sono già 500 le stazioni che hanno trovato una nuova vita. Puoi ballare la break dance o guardare un film nell’ex sala d’attesa di prima classe a Mondovì, puoi incontrare i ragazzi della redazione di Radio Appennino a Marzabotto, puoi visitare “l’Orto segreto” con 45 varietà di ortensie a Orta Masino. Oppure puoi passare una sera al Teatro Binario di Cotignola.
«In questo Dlf — racconta Silvia Berlati di Cervia — i ferrovieri si rimettevano in ordine dopo il lavoro, avevano qui le docce e la cucina. Anche adesso arrivano persone che vogliono rimettersi a posto». In stazione arrivava pure Grazia Deledda, che qui aveva comprato un villino «color biscotto» per le sue vacanze. Ora 80 volontari, a turno, preparano i pranzi e anche «la sportina» da portare a casa per la cena (con un panino con arrosto di tacchino, pizza, dolce e frutta). Ci sono le docce, lavatrici ed asciugatrici. «Il 55 per cento sono italiani. Non c’è bisogno di iscriversi, basta presentarsi. I nostri volontari sono persone che si sono sempre date da fare per il prossimo. C’è la Piera, che più “rossa” non si può. Eppure fa i turni con suor Lucia, 85 anni, che per una vita è stata caposala all’ospedale e che adesso lascia la casa di riposo per venire a servire a tavola». Un bilancio di 35mila euro all’anno, con l’aiuto di banche e privati per i soldi e di Banco alimentare e Coop Adriatica per il cibo.
Cotignola è nel cuore della Romagna, e non per caso. Il racconto della nascita del Teatro Binario sembra scritto da Tonino Guerra. «Era una sera di nebbia, passavo qui vicino con due miei amici, Cristiano e Abe. Il magazzino dello scalo merci era lì, dietro le sterpaglie. Sembrava che ci chiamasse… Sì, è stato lui a cercare noi, come se parlasse». Era l’anno 2000 e Maurizio Casadio faceva l’assessore alla cultura. «Ho parlato con il sindaco di allora, abbiamo chiesto il comodato alle Fs e il magazzino è diventato “nostro”. Il teatro è stato aperto nel 2006, con Dante l’è un pataca di Ivano Marescotti». Un paese di 7.400 abitanti, per rimettere in ordine questo spazio, ha speso 240 mila euro. «Certo — dice Maurizio Casadio, che adesso è presidente dell’associazione “Cambio Binario” che gestisce il teatro — ci sono state polemiche. Ma io raccontavo a tutti che non si poteva buttare via uno spazio così bello, così ricco di storia».
Una sala con 99 posti, i camerini sono in un vagone merci. «Abbiamo comprato altri cinque vagoni, metteremo un caffè, costruiremo il foyer… Lo scalo merci è il posto giusto per la cultura. In ferrovia i vagoni caricavano e scaricavano merci, ora in teatro c’è lo scambio di cultura, di poesia, di emozioni».
«La stazione — dice il sindaco Luca Piovaccari — è il posto giusto, perché non sembra un teatro. E così è frequentato anche da chi ha sempre avuto timore a entrare in un museo o, appunto, in un teatro. Spendiamo 80 mila euro all’anno, per la cultura. Ma non servirebbero a nulla, se non ci fossero i volontari. Nel “Teatro Binario” lavorano tante associazioni, dalla scuola di musica a quella di fotografia. Solo nella stagione invernale ci sono 70 appuntamenti ».
«Lavorano» è la parola giusta. Il presidente Maurizio Casadio, per esempio, fa il cantiniere. Lasciate botti e cisterne, assieme agli altri cento volontari, toglie il legno marcio dai vagoni appena acquistati dalle Fs, mette quello nuovo, prepara le piattaforme e il tunnel fra vagoni e teatro… È arrivato anche Nicola Piovani, a suonare qui. Sul palcoscenico è salita Paola Quattrini. «Nel nostro cartellone, che si chiama “Sipario 13”, ci sono però tante nuove proposte. Puntiamo sul settore giovanile, come se fossimo una squadra di calcio. Così costruiamo anche il futuro». Scende la prima nebbia d’autunno. Lo scalo merci non ha più bisogno di «parlare». Il suo appello è stato ascoltato.